martedì 21 dicembre 2010

Rapunzel, sciogli i tuoi capelli (e le tue domande)

Giovedì ho visto Rapunzel.
Sì, guardo ancora i cartoni animati Disney, ormai lo sapete e non sento nemmeno più il bisogno di giustificarmi, sono al di là di ogni vergogna.

Che dire, a me è piaciuto moltissimo. Bello da vedere, divertente, con una Lei (tanto per cambiare) bellissima e un Lui niente male (sbaglio o è il primo con il pizzetto?). Non sottovaluterei neppure l'ossessione morbosa per la bellezza e la giovinezza della Cattiva, Madre Gothel; il rapporto "sindrome di Stoccolma" di Rapunzel con la propria madre adottiva; il taglio di capelli finale, e, soprattutto, una protagonista femminile che sì è stata rinchiusa per tutta la vita, ma che se la sa cavare (certo, avere capelli magici aiuta), e impugna una padella non solo per cucinare.

Comunque, non sono qui per recensire il film, né per un'altra puntata semasiologica Disney. Ho alcuni quesiti da porre (grazie ad Annie, che mi ha dato il via all'ispirazione).

- ma Gothel non si affeziona alla bimba? Neanche un po'? D'accordo, questo è manicheo e disneyano, ma non è verosimile!

- volete farmi credere che il re e la regina non sanno che nel loro regno (e non lontano dalla capitale, dopotutto), c'è una valle idilliaca con una torretta altissima (che oltretutto è uguale a Granburrone)?

- nella torretta c'è un sistema di acqua corrente, VERO??

- nessuno si accorge che la piccola sconosciuta con i capelli lunghissimi (a proposito, perché nessuno se ne stupisce?!) è identica alla regina, e che quindi potrebbe essere verosimilmente lei la principessa perduta?

- la regina si è mantenuta così giovane è bella soltanto perché è donna, o perché il fiore magico ha avuto un benefico effetto?

- era proprio necessario fare un decotto di 'sto benedetto fiore? E comunque, se fosse stato per salvare la moglie del mezzadro, non ci avrebbero neppure pensato!

- il trip grazie a cui Rapunzel si rende conto di essere la Vera Principessa Perduta, e che sua madre in realtà è un'impostora, è ridicolo. Dai, potevate pensarla meglio! Era in fasce quando è stata rapita, come è possibile che lo stemma del sole le si sia impresso in mente tanto da riprodurlo, inconsciamente, ovunque?

- "... però vedi, è una fregatura, cioè, lei lo ha salvato, anzi, lo ha praticamente resuscitato, lui non potrà mai lasciarla, anche se non la amerà più, insomma, si sentirà legato per sempre a lei, e perennemente in debito!" (Cit. Annie 2010). (Che però, a ben pensarci, è quello che succede praticamente sempre. La Bestia viene salvata dalla morte e fatta tornare umana, Biancaneve e La Bella Addormentata salvate dal sonno eterno, Cenerentola da una vita di servitù e umiliazioni...)

- quando lei piange e lo salva (i fasci di luce dal petto sembrano quelli de La Bella e la Bestia), mi state dicendo che il potere del fiore, che prima era nei capelli, ora è comunque rimasto dentro di lei? E quindi Rapunzel ha, poniamo... lacrime-elisir-di-giovinezza? Lacrime-che-guariscono-da-ogni-male? O è solo la storia del Vero Amore?

- dato che non appena le si taglia una ciocca questa diventa castana (in quanto castana, mi sento menomata) e perde, per così dire, ogni potere... Rapunzel non si è mai tormentata i capelli! Ma soprattutto... a Rapunzel non sono mai caduti i capelli! Perché o ricrescono naturalmente magici, oppure non cadono mai, neppure sotto la doccia (e questa è una bella consolazione, già pensavo con orrore allo scarico...); ma ora che è castana e non più magica, le ricresceranno normalmente? O continueranno a non caderle mai? O li perderà come si perdono i capelli normalmente, ma senza che questi vengano sostituiti da altri nuovi?

mercoledì 15 dicembre 2010

I just hope that we'll have better lives

Avrei in programma un altro post simile al precedente, e un paio su cose che odio (tipo le signore impellicciate, snob ma del tutto  c a f o n e  che ho trovato stamattina in treno), ma... non mi va. (Tra l'altro, sto scrivendo anche troppo secondo me).


Non mi va non perché non abbia voglia di scrivere (l'ho appena detto che sto scrivendo anche troppo, no?), ma perché non voglio scrivere, oggi, di cose brutte o odiose, o antipatiche, o anche soltanto fastidiose o tristi. Non che sia successo granché, anzi.


Come un sorriso improvviso, come un saluto inaspettato, come un giorno di vacanza non programmato, ma soprattutto come una canzone che non conosci che ti entra nelle orecchie appena sveglia.


Zee Avi, Darlin' It Ain't Easy


I'm down to my last
stick of cigarette
I'm down to the last thought
in my head

You saw me
packing my bags
You asked me
if I was coming back
And I told you
that I wasn't sure
and I'm
five steps away from out the door

Darlin' it ain't easy
for me to say goodbye
but I have found myself another guy

You look confused
And I don't blame you
But you're never around
enough for me to love you
me to love you

Darlin' you don't deserve me
you don't deserve my love
I had plenty to give
but you shrugged it off

Don't think I dont know
about the hair on the pillow
and it seems like what we had was just a show
was it all
just a show?

Darlin' it ain't easy
for us to say goodbye
I just hope that we'll have better lives
*
So che amorechevieniamorechevai non c'entra molto come tag nel post, ma c'entra nella canzone. E poi il blog è mio e me lo gestisco io. Buona serata, gentaglia :)


lunedì 13 dicembre 2010

La sindrome di Enea

(quis fallere possit amantem?)
Verg., Aen., IV, 296

Pare che ad ogni esame di latino, o quasi, mi tocchi tradurre qualcosa di Virgilio: il sesto dell'Eneide, il quarto delle Georgiche, e ora il secondo ed il quarto ancora dell'Eneide. C'è da dire che ogni volta c'è almeno un verso per cui ne valga la pena: una delle mie trovate migliori per un costume di Carnevale lo devo alla descrizione virgiliana di un personaggio infernale (...et Discordia demens/ vipereum crinem vittis innexta cruentis); l'elenco alla lunga noioso (e assurdamente disgustoso!) per diventare un perfetto apicoltore venne ricompensato dal mito struggente di Orfeo e Euridice (e chi se ne importa se fu o non fu il prototipo di "delitto perfetto", come sostiene Lella Costa, se ti regala un verso come invalidasque tibi tendens, eheu non tua, palmas?); quest'anno, finalmente, mi è toccato anche il quarto libro, incentrato sull'amore (ovviamente non a lieto fine) tra Enea, quello che teoricamente dovrebbe essere il protagonista, e Didone, la bellissima regina fenicia, vedova inconsolabile (si fa per dire) che ovviamente non riesce a resistere al fascino del figlio di Afrodite. In cambio di una manciata di illusione si troverà (sedotta e) abbandonata; disperata, non le resta che il suicidio. Ma prima si lancia in una lunga maledizione, terrificante e spaventosa. C'è tutto lì: l'amore tradito, la disillusione, la rabbia, il rimpianto, e l'affetto che, avvelenatosi, si trasforma inesorabilmente in odio. L'ho letta per la prima volta al ginnasio (già intuendo, giovane e ingenua, i vantaggi di un'educazione classica: "Vuoi mettere, uno ti lascia e tu gli urli dietro: Sole, che con le tue fiamme tutte l'opere illumini / della terra, e tu artefice e complice di queste pene, Giunone, / Ecate, che per trivii e città notturno l'ululo evoca, Dire vendicatrici, dèi d'Elissa che muore, etc."), ora mi mancano ancora un 200 versi per tradurla finalmente a modo mio (niente di personale, Rosa Calzecchi Onesti, ma d'altra parte penso tu possa capirne la soddisfazione).

Comunque, già a 15 anni mi era chiaro che Enea era un idiota.
Prima si perde la moglie Creusa per strada, e non se ne accorge neppure (ma già, lui è così pius e pirla che prende il padre in spalletta, il figlio piccolo per mano e poi dice "segua i miei passi, da lontano, la moglie"), salvo poi disperarsi alla follia (non si capisce bene perché, in fondo non è che sembra gliene importasse molto) ed essere consolato dal fantasma della moglie stessa (anche tu, però, Creusa! Lo abitui male, poi non è che puoi lamentarti), che gli annuncia grandi cose, fra cui un'altra moglie. Ma insomma, il cadavere della prima è probabilmente ancora caldo, non può già pensare alla prossima!

Poi, si arriva al quarto libro. Didone è... Didone è l'eroina tragica perfetta, secondo me. Bella, bellissima, intelligente e infelice. Mi piace come riesce a convincere Iarba a farsi concedere un po' di terra: tanta terra quanta ne copre il mio mantello... Non gli spiega prima, però, che il mantello lo disfa, e con un lunghissimo filo riuscirà a circondare terreno sufficiente per costruirci una città (e che città: la mia amata Cartagine). Nonostante sia stato gabbato in maniera così palese, Iarba la sposerebbe comunque, ma lei rifiuta: è ancora innamorata del marito, barbaramente assassinato dal fratello di lei. Poi arriva Enea, e pensa che le sia stato concesso di amare ancora. Certo, l'eroe troiano ha fascino, e, in più, può contare su tutti i trucchi di seduzione messi a disposizione da mamma Afrodite: Didone è giovane, lo ammira, si innamora, si fida, lo ama e, anche se non sono sposati "lo chiama marito". Il freddo Virgilio ne sembra scandalizzato, a noi invece riesce facile immaginarcela, persa dietro "lo Straniero", incurante della gente che mormora, delle malelingue velenose, mentre vive i momenti più belli e inebrianti della sua breve storia d'amore.

Infatti Enea, al primo fischio da parte dell'annoiato Giove, è pronto a partire per l'Italia, senza essere nemmeno sfiorato dal dolore di dover lasciare quella che, insomma, è un po' più di una con cui è andato a letto qualche volta. Invece tutto quello che lo preoccupa è "come dirglielo", e dopo averci ben pensato (!), idea geniale!, si prepara a fuggir... ehm, partire in fretta e furia, e senza dire niente a nessuno. Didone, che è donna, intelligente e innamorata (quis fallere possit amantem?), lo scopre subito.

Ora, mi spiace per tutti voi che state leggendo e che ho annoiato con cose che sapete già, ma era una premessa necessaria per porre le seguenti domande e lasciarmi trascinare nella mia invettiva contra Aeneam.

Ma brutto deficiente. Ma chi ti credi di essere? Come ti  p e r m e t t i  di fare il cretino, ferire così i sentimenti di una donna che meritava tanto più di te? No, bravo, proprio bravi, te e Odisseo, i grandi scopatori del Mediterraneo, mi fate schifo.

E il fatto è che non ha nemmeno il coraggio di dirle: guarda, mi spiace, non facevo sul serio. Devo andare, comunque è stato bello, grazie, ciao. Oppure di buttarla sul melodrammatico: chessò, ti amo e ti amerò sempre, me ne vado contro la mia volontà, etc. E invece no, le dice che, se proprio stesse a lui decidere, lui, povero ciucciolo, si sarebbe messo a ricostruire Troia, pius e pirla, e avrebbe pianto con amore e dolore i suoi cari. Neanche una lacrimuccia per la povera Didone. E poi una non si dovrebbe arrabbiare.

Neanche a dirlo, Didone si uccide, pazza di rabbia e dolore, e Enea raggiunge bel bello l'Italia. Eh sì, l'Italia, avete capito bene. Poi una si fa domande sul maschio latino, ma è la  m i t o l o g i a, mie care, che spiega tutto.

mercoledì 8 dicembre 2010

Working class hero

Quando ero piccola, durante il ponte di Sant'Ambrogio (festeggiato dalla mia famiglia anche per un altro motivo - evidente a chiunque legga l'etichetta sul citofono) si faceva l'albero di Natale e il presepe. In questa parte d'Italia, a quanto ne so, funziona così. Poi le radici nordiche (non biologiche, ma d'elezione) di mia madre hanno avuto la meglio, e il minimalismo ha dato una motivazione nobile alla pigrizia: ora le decorazioni natalizie si fanno la Vigilia, e sono MOLTO ridotte.

La colonna sonora di Natale (per fare l'albero, la mattina del 25 e in ogni altro momento) è sempre stata, ed è ancora, John Lennon. In particolare, una raccolta che viene fatta partire alla traccia 8, con Merry Xmas (War is Over), e poi riascoltata e riascoltata e riascoltata.



Love mi ha insegnato come si può provare a dare una definizione di "amore" senza essere patetici, e Stand By Me a chiedere di restare senza supplicare. E poi mi hai insegnato ad essere troppo idealista e rivoluzionaria (cit.) con  Imagine e Give Peace a Chance e Power to the People


Mi hai insegnato Hair Peace, Bed Peace.

L'8 Dicembre è l'anniversario della morte di John Lennon. Me lo ricordo, un 8 Dicembre a fare l'albero, e papà che guarda mamma e dice: "Sai? Oggi è l'anniversario della morte di John Lennon".

Ero piccola allora, ma i Beatles li conoscevo già tutti, e John Lennon, beh, era un personaggio familiare, come una specie di fratello maggiore di mio padre (ma più simpatico dei miei zii), o, meglio, un ex compagno di scuola un po' pazzo. Un working class hero.

E così ogni 8 Dicembre non posso non fare a meno di pensare: "Sai? Oggi è l'anniversario della morte di John Lennon". E sentire quanto la sua musica sia ancora amata mi fa bene, mi dà l'illusione che sia ancora vivo, o forse non è un'illusione, perché se la tua musica è viva sono vive anche le idee che cantavi, e questo, per l'uomo, è quanto di più simile ci sia all'immortalità (o forse lo è, perché tu prova a dire "non è morto").



Ciò non toglie che le trasmissioni "di anniversario" (30 anni nel 2010, possiamo farci su un servizio niente male!) mi diano un po' di nausea. Sul serio. Chissà cosa ne penseresti, zio John. So già che rideresti dietro i tuoi occhialini tondi.

martedì 7 dicembre 2010

Sinterklaas rocks

Ho passato gli ultimi tre giorni in Olanda, ospite della mia amica di penna, che ho conosciuto anni fa in una vacanza studio. Dopo esserci scritte più o meno con continuità, ci siamo viste un paio di volte nell'ultimo anno.

Mi piace il nord Europa, il gusto di certi cibi, la forma delle case, la faccia della gente, il the, il piumone disteso sul letto. Nonostante mi aspettassi tutto questo, mi sono trovata (piacevolmente) sorpresa (e ri-accolta) da mille altre (piccole e grandi) cose.



Svegliarsi in aereo poco prima dell'atterraggio, guardare fuori dal finestrino e vedere, nell'aria ancora blu dell'alba, strane forme bianche sulla terra. Intorpidita, penso per un minuto che sia acqua, senza capire il perché di quei laghi dalla strana forma, intorno a gioielli di luci calde. Poi mi rendo conto, con la sorpresa del bambino la mattina di Natale, che è neve.

L'aeroporto di Eindhoven è piccolo. Ci sono alberi di natale alti pressapoco come me, decorati con cuoricini di legno rosso, poche palline e due semplici festoni, senza lucette epilettiche.

La casa della mia amica è stata costruita nel 1852 (ma la parte principale è molto più vecchia). Ci sono una cucina spaziosa che dà sul giardino coperto di neve, una "red room" come sala da pranzo, e una grande whatever room che fa da soggiorno, sala da pranzo, da the e da chiacchiere. Il legno per terra è in listoni largh, vecchi e distanziati, il divano è bianco e senza pretese, ma la mia poltrona preferita è di velluto verde oliva, completamente consunto sui braccioli, con la fodera addirittura strappata dall'usura; è il giusto mezzo, né grande né piccola, né dura né morbida, e, se fossi un gatto, sarebbe quella dove mi acciambellerei la sera. Al primo piano c'è la sua stanza, il bagno (inaspettatamente piccolo, rispetto al resto!), la camera da letto dei genitori, e le due stanza dove lavorano, piene di libri e riviste, così in disordine che dalla porta alla scrivania c'è solo un sentiero lasciato libero per il passaggio; piena di libri è anche la mansarda, dove in una stanzetta hanno preparato il letto per me. Il piumone è blu, e la finestra, che dà sul campanile, è ancora incrostata di ghiaccio perché il riscaldamento, lì, è stato appena acceso...



La mia amica Anna mi porta in città di cui ho già sentito parlare, come Utrecht, e in paesini minuscoli, in cui non andrei se fossi solo una turista, come quello devo vive il nonno pittore, che, anche se non possiamo parlare, ci tiene ad offrirmi the e cioccolatini, a farmi vedere i suoi quadri, e a farmi i complimenti per il mio cappotto rosso.

Gentili. Sono tutti gentili con me. D'accordo, sono loro ospite, ma è gentile anche la signora che vende il pane, mi sorride la bigliettaia del museo e la vicina di casa che, scoperto che sono italiana, anche se sta perdendo il treno si ferma a dirmi Buonasera; è gentile la coppia che mangia patatine e maionese e    ride dei ritardi dei treni olandesi (e io che pensavo che solo in Italia...), e il ragazzo che attacca bottone solo perché capisce che sono straniera e vuole sapere da dove vengo, cosa faccio e come ho conosciuto la mia amica; è carino Thomas che vuole cenare italiano e si fida della mia cucina (senza sapere che, qui, nessuno dei miei amici mi farebbe mai cucinare!), ma poi, al supermercato, mi spiega che vuole mangiare casoncelli (500 g) col sugo di pelati (due barattoli) e prosciutto (due confezioni), per poi sdebitarsi lavando i piatti.

Passo tre giorni a mangiare, e probabilmente sono ingrassata, ma chi se ne importa. Per me che amo il pane, ogni panetteria è il paradiso, e ogni banale supermercato una selva di tentazioni. Pane, burro, marmellate, appelstroop, cioccolato, olieballen, salumi, formaggi, erwtensoep, patate, cavolo, salsicce, boerenkool, e poi ancora roggebrood, pane dolce, biscotti di ogni tipo, cioccolato.



Per terra c'è la neve e il ghiaccio, ma tutti girano in bicicletta, e non so come facciano.

A Nijmegen c'è un campus che è una città a parte. La mensa degli studenti sembra un ristorante, il cafè è un vero e proprio pub, le biblioteche sono enormi e organizzatissime, in ogni dipartimento c'è una stanzetta dove tutti, prof e studenti, possono scaldarsi una tazza di the o di caffè sul bollitore, e le persone che incontro mi invitano a venire a studiare lì (mentre Anna, non so come, è convinta che la mia università, solo perché è in un palazzo antico, sia più bella). Anna ha una camera piuttosto grande a mezz'oretta a piedi dall'università, condivide la casa con altre 5 persone (ma la cucina e il bagno con sole altre 3); ha un servizio di piatti bianco e blu comprato di seconda o terza mano a una bancarella, un tavolo, un divano e un letto che, se serve, diventa matrimoniale. L'affitto non penso sia un problema per i suoi, ma non è caro e non deve lavorare per mantenersi lì.



E non vi ho parlato di Sinterklaas.
Perché festeggiare a Natale il noioso Babbo Natale, quando si possono ricevere dolci e regali per settimane, ma soprattutto il 5 dicembre? (A dire il vero con me lo hanno festeggiato il giorno precedente, perché io e Anna la sera ce ne saremmo andate a Nijmegen). In giro per le strade ci sono ragazzi mascherati da Zwarte Piet e con la faccia impiastricciata di marrone, che ti riempiono le mani di biscotti e mandarini. La sera si lascia una scarpa vicino al camino, e la mattina seguente (se si è stati bravi durante l'anno) si trovano dolci e regali (Sinterklaas di cioccolato, l'iniziale del proprio nome in cioccolato, biscotti, mandarini e regali veri e propri - a noi ci sono volute due tazze di the e quasi due ore per finire la colazione e scartare i regali).

E sarà stata la neve, sarà stato il cibo o la buona birra, sarà stato il cappotto rosso, ma mi sono innamorata.

giovedì 2 dicembre 2010

Figli di miseri padri affrontano il mio furore! (Hom, Il, VI, 127)

E sai ora che c'è?


C'è che per la prima volta, per una frase casuale, mi arrabbio. No, non per quello che credi tu.


Mi arrabbio per tutto il tempo buttato. Tempo che ho  s p r e c a t o. Questi ultimi mesi sono stata la fine classica di ogni storia. Un trascinarsi inutile e illusorio, una tappa obbligata, forse. Poi penso che se a Febbraio ti avessi detto di no ci saremmo lasciati definitivamente allora, e, oggi, saremmo già diventati qualcos'altro e avremmo superato e dimenticato il limbo che sono questi mesi di pantano (e forse tutto sarebbe talmente diverso - migliore o peggiore, chi può dirlo? - che non lo riconoscerei più).


Mi arrabbio per rapporti interrotti, legami rovinati. Non è stata colpa tua, ed è proprio perché so che è stata COLPA MIA che mi arrabbio ancora di più.


Mi arrabbio, e nella rabbia penso cose che probabilmente non sono vere (lo spero per te). E quindi probabilmente credi che mi strugga e voglia tornare con te, mentre lo sai, ti voglio bene e mi dispiace, ma mi è spiaciuto anche non sentirmi crollare il mondo addosso quando mi hai risposto "Sì, forse è meglio così". Suona troppo da stronza dire che è stato un sollievo? Non sono una stronza, non con te, ma è come un nodo nei miei capelli, se non riesco a scioglierlo lo taglio. Non fa bene, forse, ma è l'unica cosa da fare (erano i capelli che non dovevo annodare, piuttosto). E guarda, esci con tutte le ragazze che vuoi e guardati intorno fino a farti girare la testa (come ti dissi da sbronza: prima o poi tornano tutti, ma non è detto che li rivoglia - d'accordo, questa è da stronza, te lo concedo. Tu mi concedi un po' di stronzaggine come ricostituente per l'autostima?), ma almeno sii coerente e non fingere. Non è che mi faccia piacere, ma non sarà dicendomi una cosa e facendone un'altra (o dicendone ad altri un'altra?) che diventerai il mio migliore amico.


Non sto rinnegando la nostra storia. Per me è stata importante, lo so che è stato così anche per te, quindi per favore non fare in modo che debba ricordarmi di questi due anni della mia vita negativamente. Ti ho amato (ti ho salvato, ti ho portato il ghiaccio... ah no, questa è tutta un'altra cosa), mi hai amata, ora non è più così, per favore evitiamo di farci i dispetti. Per favore evitiamo di svilire tutto.


*


Ciò non toglie che un po' di sana rabbia, in questi casi, non possa fare altro che bene.


*


E no, sapete. Non ho "bisogno di un uomo" come si diceva scherzando stamattina. Ho bisogno solo di me stessa, la me stessa più forte che sbatte la testa anche cento volte, cade e si rialza. Ci sono mille cose che aspettano solo me per essere fatte.


*


J'ai quatorze balles à votre disposition. Allez chercher six des vos amis!


Come scrissi (tanto!) tempo fa: non voglio stare seduta in casa ad aspettare, voglio uscire a scoprire Persepolis! E, intanto, vivrò.

martedì 30 novembre 2010

They will not control us, we will be victorious

Muse, Uprising (The Resistance, 2009)

Paranoia is in bloom, 
The PR transmissions will resume
They'll try to push drugs
Keep us all dumbed down and hope that
We will never see the truth around
(So come on!)

Another promise, another scene, another
A package not to keep us trapped in greed
With all the green belts wrapped around our minds
And endless red tape to keep the truth confined
(So come on!)

They will not force us
They will stop degrading us
They will not control us
We will be victorious

Interchanging mind control
Come let the revolution take its toll if you could
Flick the switch and open your third eye, you'd see that
We should never be afraid to die
(So come on!)

Rise up and take the power back, it's time that
The fat cats had a heart attack, you know that
Their time is coming to an end
We have to unify and watch our flag ascend

They will not force us
They will stop degrading us
They will not control us
We will be victorious

Hey .. hey ... hey .. hey!

They will not force us
They will stop degrading us
They will not control us
We will be victorious

Hey .. hey ... hey .. hey!
 

mercoledì 24 novembre 2010

Camera con vista

Secondo il lettore, è fin troppo facile concludere: "Lucy ama il giovane Emerson". Un lettore nei panni di Lucy non lo troverebbe tanto ovvio.  È facile far la cronaca della vita, ma è sconcertante interpretarla, e ricorriamo con sollievo ai "nervi" o a qualsiasi altra formuletta adatta a palliare il nostro desiderio personale. Lucy amava Cecil; George la innervosiva; se la sentirebbe il lettore di spiegarle che bisognerebbe invertire i termini delle proposizioni?


Edward Morgan Forster, Camera con vista.


*


Io credo, forse un po' superficialmente, che una delle cose più belle della lettura sia la sorpresa, addirittura lo sgomento, con cui ci rendiamo conto che quel libro sta parlando di noi, e che non ci sono parole più adatte a descriverci di quelle che abbiamo sotto gli occhi.


*


È un pensiero un po' presuntuoso, e molto naive. Ma non riesco a impedirmelo, e ogni volta mi colpisce e mi stupisce il piacere di sentirmi compresa da quell'oggetto rettangolare e spigoloso. Di sapere che tanti anni (o solo qualche ora) fa, qualcuno che non mi conosce affatto abbia fissato con e su materiali tanto labili qualcosa di ineffabile come uno stato d'animo, e che sia stato capace di renderlo indelebile almeno nella mia mente.


*


Sigh.

venerdì 12 novembre 2010


‎Il fatto è che ho riflettuto su questa storia che si diventa vecchi e sono arrivato alla conclusione che vorrei restare esattamente come sono adesso.


David Nicholls, Un giorno.

lunedì 8 novembre 2010

Carthago

No, non delenda Carthago.


Ho sempre fatto un po' il tifo per Cartagine.


Sarà stato quel giorno di terza liceo, e quella lezione su Polibio di cui io ricordo solo: "Scipione piange vedendo Cartagine distrutta. E piange in greco, cioè citando Omero: 'Verrà un giorno che anche la grande Troia cadrà...' Solo che lui pensa a Roma".


Cartagine doveva essere distrutta, Cartagine era il grande nemico (che poi non si potrà fare altro che rimpiangere), ma Cartagine era la bellezza, la giovinezza e l'amore (e Didone, destinata a un'eternità di pianto e rimpianto?).


Io, sto dalla parte di Cartagine.



venerdì 5 novembre 2010

unintended

Unintended, Muse (1999)


Io non lo so se soffro di una qualche disfunzione per quanto riguarda il tempismo, o semplicemente di una inopportunità latente, che magari ha anche a che vedere con la propensione alla gaffe.


Io so solo che sono "tormentata" da questa canzone ultimamente, dal ricordo di scelte di cui non avevo l'intenzione che si sono rivelate ottime, da un testo che non c'entra nulla con la tristezza della musica.


Eri la mia scelta che non pensavo, mi sono ricreduta, ora invece sono convinta della nostra scelta, del tutto diversa, che però mi rende scorbuticamente malinconica.


*


You could be my unintended
Choice to live my life extended
You could be the one I'll always love

You could be the one who listens
To my deepest inquisitions
You could be the one I'll always love

I'll be there as soon as I can
But i'm busy mending broken
Pieces of the life I had before

First there was the one who challenged
All my dreams and all my balance
She could never be as good as you

You could be my unintended
Choice to live my life extended
You should be the one I'll always love

I'll be there as soon as I can
But I'm busy mending broken
Pieces of the life I had before.



*


Se lo vuoi sapere mi mancano cose che non avrei immaginato, tipo la vecchietta gentile in treno che ci dice "scusate eh, ma devo proprio dirvelo: come siete carini", ridere della tua altezza e delle nostre differenze (perché so che siamo anche tanto simili, e che le cose che ci rendono diversi, anziché allontanarci, ci fanno sentire più vicini), ridere con te e sentirmi/ci invincibile (mentre ora più che Together we're invincible - anche se non ti piacciono i Muse - direi E davvero non siamo più quelli eroi, pronti assieme ad affrontare ogni impresa). Mi manca prenderti per mano, mi mancano le tue mani e le vene sulle braccia, mi manca abbracciarti, mi manca quando ci baciavamo e mi sembrava che non riuscissimo mai a fermarci. Mi manca andare in giro con te a parlare o a stare zitti. Mi manca la musica che c'era con me quando c'eri te, e certe canzoni non so dire quanto e come mi piacciano ancora. Mi manca scriverti le lettere, mi manca farti intenerire e farmi commuovere, e mi mancano persino le piccole gelosie e litigare un po' per scherzo e fare la pace. Mi mancano le cose stupide, mi sento una quattordicenne e mi vengono in mente una festa di capodanno (anzi, due - anzi, tre), vederti prendere la chitarra e sentirti cantare per la prima volta (no, non la prima: ma la prima per me), l'estate di un anno fa, Roma e Firenze e quanti altri posti che ho visto con te?


E poi ci sono le foto che saltano fuori per caso, le cartoline nascoste nei libri, una corona norvegese nel portafoglio, un libro sullo scaffale e un cd in macchina.


Brindare e nuotare e cantare e suonare e mangiare e volare e parlare e saltare e è inutile continuare. 


Mi ritrovo a sperare che tu non stia leggendo.
No, non mi vergogno, non ho scritto nulla di segreto o orribile. Te l'ho detto, non voglio continuare così. Non mi mancano le incertezze dell'ultimo periodo, i silenzi troppo vuoti o troppo pieni. Sono malinconica, scorbuticamente malinconica e prolissamente malinconica (pensavo di fermarmi al testo di Unintended, e guarda dove sono ora), ma sto bene e ti voglio bene, e voglio che stiamo bene entrambi.


Io mi tormento i capelli e un po' l'anima, come al solito (avrò fatto bene davvero a mollare piano? non sarebbe stato più semplice trasferirsi a pisa, anche per noi? cosa voglio fare da grande, anzi, cosa voglio essere da grande? voglio essere grande? se potessi far realizzare un mio sogno, il mio sogno più grande ora, cosa sceglierei? sono davvero così dannatamente e cronicamente insicura? cancellerò questo intervento, tutto o in parte? cosa succederà fra un anno? ho commesso qualche errore imperdonabile di cui mi pentirò?).

lunedì 25 ottobre 2010

Angie

Angie, Rolling Stones (1973)

Angie, Angie, when will those clouds all disappear?
Angie, Angie, where will it lead us from here?
With no loving in our souls and no money in our coats
You can't say we're satisfied
But Angie, Angie, you can't say we never tried
Angie, you're beautiful, but ain't it time we said good-bye?
Angie, I still love you, remember all those nights we cried?
All the dreams we held so close seemed to all go up in smoke
Let me whisper in your ear:
Angie, Angie, where will it lead us from here?

Oh, Angie, don't you weep, all your kisses still taste sweet
I hate that sadness in your eyes
But Angie, Angie, ain't it time we said good-bye?
With no loving in our souls and no money in our coats
You can't say we're satisfied
But Angie, I still love you, baby
Ev'rywhere I look I see your eyes
There ain't a woman that comes close to you
Come on Baby, dry your eyes
But Angie, Angie, ain't it good to be alive?
Angie, Angie, they can't say we never tried.

lunedì 18 ottobre 2010

palindromia

E d'ora in poi... sarà tempo di diminuirsi l'età!

Chissà cosa mi porterà questo nuovo anno, sapienza, rughe, maturità, capacità decisionale...
So cosa mi ha dato quello passato, so più o meno cosa voglio (fra le altre cose, capire cosa voglio, per cominciare), si tratta di andarselo a prendere.

mercoledì 13 ottobre 2010

Things We Never Said

He saw her from behind and recognized her immediately. He walked faster until he was just ahead of her, then turned round, wondering whether to smile. It didn't seem like fifteen years. She didn't see him at first. She was looking in a shop window. He touched the sleeve of her jacket.
„Hello, Amanda“ he said gently. He knew he hadn't made a mistake. Not this time. For years he kept thinking he'd seen her – at bus stops, in pubs, at parties.
„Peter!“ As she said his name, her heart quickened. She remembered their first summer together. They'd lain together by the river at Cliveden. They were both 18 and he'd rested his head on her stomach, twisting grass in his fingers, and told her that he couldn't live without her.
„I'm surprised you recognize me.“ he said, burying his hands in the pockets of his coat.
„Really?“ She smiled. In fact she'd been thinking about him a lot recently. „You haven't moved back here, have you?“ Surely not, she thought. She knew he loathed the place. Even at 18, he couldn't wait to leave and travel the world.
„Good heavens no.“ He said „I'm still in London.“
She looked at him. He looked the same. He hadn't begun to go bald like so many of the men she knew, but his shoulders were broader and his face slightly rounder.
„ I came back for the funeral.“ he continued. „My father's. A heart attack. It happened very suddenly.“
„I'm sorry.“ She said, though she wasn't really. She remembered him telling her about how his father used to beat him regulary until he was 16 and grew too tall.
„Thank you.“ he said to her, though he felt nothing for his dead father, just a relief for his mother. She'd be happier without him. She'd been trying to pluck up courage to leave him for years.
„And I take it that you're not living back here either?“
„I'm in London, too.“ she said. She pushed her hair behind her ears in a gesture he hadn't forgotten.
„Just back for my sister's wedding tomorrow.“
„That's nice.“ he said, though his only memory of Amanda's sister was a rather plump, boring 12-year-old.
„Yes.“ she agreed, feeling that her baby sister's wedding only served to spotlight her own series of failed relationships
„And your parents?“ he asked „They're well?“
„Fine.“ She remembered how he'd always envied her middle-class parents, who ate foreign food and took exotic holidays.
„Are you rushing off somewhere?“ he asked.
„No, I'm just killing time, really.“
„Then I suggest we kill it together. Let's grab a coffee.“
They walked towards Gaby's, a small cafe just off the high street. They had spent hours there when they had first met, laughing and holding hands under the table, and discussing their plans for the future over cups of coffee. They sat opposite each other. He ordered the coffee.
„And so, Peter, did you become a foreign correspodent?“ she asked, remembering the places they dreamed of visiting together – India, Morocco, and Australia.
„Not exactly.“ he said. „I'm a lawyer, believe it or not.“ She looked at his clothes, and she couldn't believe it. They were a far cry from the second-hand shirts and jeans he'd worn as a student.
„You enjoy it?“ she asked.
„Yes.“ he lied. „And you? Are you a world famous artist?“
He'd always loved her pictures. He remembered the portrait of herself which she'd painted for him for his twentieth birthday. He still had it.
„Well,...no.“ She tried to laugh. She wondered if he still had her self-portrait. She'd stopped painting years ago. He looked at her hair, cascading in dark unruly waves over her shoulders. He could see a few white hairs now, but she was still very beautiful.
„So.“ he said „What are you up to?“
„Nothing much.“ she said. „I've tried a few things.“ She didn't want to tell him about succession of temporary jobs that she'd hoped might lead to something more permanent but never had.
„So you're not painting at all?“
„Only doors and walls.“ she joked, and he laughed politely. She remembered the evenings they'd spent in the small bedsit that they rented in their last term at college. He'd sit for hours just watching her paint. She filled sketch book after sketch book.
„So where are you in London?“ she asked.
„North.“ he said. It was a three-bedroom flat in Hampstead. Nice in an empty kind of way. He thought about all the evenings he wished he had someone to come home to.
„And you?“ he asked, after a pause.
„South. It's okay, I rent a room.“ She thought of the small unfashionable part of Clapham. „But I'm thinking of buying somewhere. It's one of the reasons I came home. I want to sort things out a bit.“ she sighed, thinking about the letters from him that she'd found in her old bedroom. She'd been reading them only yesterday.
„Oh, Peter, I don't know why I left that day.“ she said at last. He looked up at her.
„It's all right.“ he said, remembering the evening she hadn't come back to the bedsit.
„We were young. Young people do things like that all the time.“ he added, knowing that this wasn't true, knowing that he hadn't deserved such treatment. He thought of all the letters he'd sent to her parents' home. He'd written every day at first, begging her to return or at least to ring him. He'd known even then that he would never meet anyone like her again.
„I suppose you're right.“ She swallowed hard, trying to hide her disappointment and hurt that he seemed to have no regrets.
„Well, I ought to be going.“ she said.
„Already? I thought you had time to kill.“
„I did.“ she said, blinking to hold back the tears. „But I ought to get back now to help my mother with the wedding.“
„I understand.“ he said, though he didn't. Surely her parents would understand?
„Shall I give you my phone number. Perhaps we could meet up?“
„Perhaps.“ she said.
He wrote his telephone number on the back of the bill and tucked it into the zipped compartment of her handbag.
„Thanks. Goodbye, Peter.“
„Goodbye, Amanda.“
Years later, every so often, she still checked that compartment to make sure his number was there.


by Fiona Goble

*

Me l'hanno fatto lggere poco più o poco meno di un anno fa (su http://www.blog.hr/print/id/1620543616/things-we-never-said.html), eppure riesce sempre a farmi stringere un po' il cuore e serrare la gola.

venerdì 8 ottobre 2010

Ossessione Rosy - Natalia Aspesi

L’altra sera a “L’infedele“, Gad Lerner indagava sul perchè il premier ce l’abbia tanto con l’aspetto di Rosy Bindi, e insieme non ne sono venuti a capo. Ma la risposta è semplice: perchè pur essendo lei molto intelligente (soprattutto per un politico), informata come nessuno, di pronta risposta, placida e sorridente, praticamente imbattibile, (l’altra sera a “Otto e mezzo” ha steso secco il pur zelante Rossella), non è brutta! 59 anni, quindi di 15 anni più giovane del suo detrattore, assomiglia a milioni di sue coetanee che hanno altro da pensare che tirarsi, tingersi, imbalconirsi, far diete, portare tacchi e scosciarsi. Sono le donne rassicuranti di famiglia, fisicamente piacevoli per quello che sono insostituibili e perciò molto amate, ricche di esperienza e saggezza per i ruoli che svolgono, di casalinga, di maestra, di ingegnere, di sindaco, di presidente di partito: aspirassero alla vita di escort, o di ballerina classica, o di cineseduttrice, ci sarebbe qualche problemino, oltre l’età. Per fortuna, non è il caso del 99% delle donne. Bei capelli grigi, tailleur civettuoli, sguardo implacabile, deve essere tra gli incubi del Cavaliere quello di dover un giorno trovarsi faccia faccia a discutere con lei.

Natalia Aspesi, La Repubblica, 8 ottobre 2010

*

Ovviamente dalla "mia" Natalia non mi aspettavo nulla di meno. Anzi, era anche ora che qualcuno lo dicesse: Rosy Bindi non è mica brutta! Che poi, anche se lo fosse, che importanza avrebbe? Perché tutti ne parlano? Come se i suoi colleghi maschi non fossero per gran parte, loro sì, brutti davvero! Possibile che contro una donna l'unica accusa pensabile sia: è brutta?

lunedì 4 ottobre 2010

nel dubbio, scappo

Mi capita (spesso) di credere di vedere qualcuno che in realtà non c'è.
Tra la folla, seduto qualche sedile più in là in treno, due banchi avanti a lezione.
Un taglio di capelli, una maglietta, un mezzo profilo.
Una mattina, pensando a una persona che non vedevo da mesi, ho addirittura sentito (o mi è parso di sentire) il suo profumo mentre camminavo per strada.
Una risata, un modo di dire, ma con la voce è più difficile, l'orecchio è più restio a farsi ingannare.
Oppure a volte è uno sguardo immaginario puntato sulla tua nuca.

Primo ho scritto: "Mi capita spesso di credere di vedere qualcuno che in realtà non c'è". Non è vero, non mi capita "spesso", non sono una che vede i fantasmi, percepisce le presenze, o cose così. Non sono nemmeno matta, né un'egocentrica folle. Però mi capita, mi è capitato e mi capiterà.

Ma quando il taglio di capelli si scompiglia, la maglietta si gira, il mezzo profilo si volta, quando la risata si fa più chiara e la voce ti chiama, quando c'è anche la persona e non solo il suo odore (e non bisogna subire la piccola disillusione che ci colpisce il più delle volte nel renderci conto che quella non è la persona che conosciamo noi - non ha il suo sguardo, né il suo naso o il suo sorriso, e, guardandola meglio, non le somiglia per niente), che fare?

Si può scappare?

martedì 28 settembre 2010

beginning

L'inizio della specialistica (ieri, ore 14.30, nella sede che cade -quasi- a pezzi) coincide con gli ultimi giorni della settimana della moda.

Che c'entra, direte voi.

A parte l'arrancare penosamente, con già un'accenno di raffreddore e la borsa che pesa sulla spalla (rigorosamente sinistra) disabituata al peso della cultura, dovendosi nel frattempo confrontare con creature altissime, purissime (?), sicuramente levissime, che scivolano eteree a parecchi cm di distanza rispetto al suolo dove le comuni studentesse si affaticano e soffrono.

A parte che c'è ancora più casino in giro, e il contatto con troppa gente mi urta.

A parte che c'è il sole ma non fa più caldo, e io non so come vestirmi e invece pare che tutti gli altri ci riescano senza problemi, e anche bene.

A parte.

Ci sono anche i momenti esilaranti.

Primo pomeriggio, Corso Vittorio Emanuele.
Uno stuolo di ragazze altissime e levissime, capelli stirati e vestite tutte uguali (maglietta bianca, leggings bianchi, minigonna di jeans e scarpe bianche col tacco) incedono apparentemente senza timore sul pavè. Non ho idea di chi sponsorizzino/pubblicizzino o altro, io mi trovo con due amiche per caso lì in mezzo, schiacciata dal confronto impari (e con la paura di essere travolta, il tacco fa male).

Un signore da bordo strada, con accento toscano: E MANGIATI 'NA BISTECCA!

venerdì 24 settembre 2010

the way you did once upon a dream

...e, a proposito della Bella Addormentata, non dimentichiamoci che nel film della Disney c'è nientemeno che Čajkovskij come colonna sonora.

Da bambine la cantavamo allungando le vocali (sooo chi seei, vicino al mio cuooor ognor (ognor??!) sei tuuu), senza sapere che in realtà quella era la musica di uno dei più bei balletti di tutti i tempi. Nessuno è perfetto, d'altronde.

Il problema, forse, è che ci piace ancora adesso... anzi, anche di più. Così la possiamo cantare anche in inglese (meglio se a Capodanno, e decisamente brille - ogni riferimento a fatti realmente avvenuti o persone esistenti è del tutto casuale).

Qui l'indispensabile video di youtube (ebbene sì, cerco i video delle canzoni disney su youtube, e non me ne vergogno!)

Buonanotte a chi ha sempre sognato. Il Principe Azzurro, la Principessa Azzurra, animaletti del bosco parlanti, quello che volete.
Buonanotte a chi canta e balla con le amiche senza vergognarsi.
Buonanotte a chi ha rinunciato al Principe o alla Principessa perché si è accorto che erano terribilmente noiosi.
Buonanotte a chi ha snobbato il Palazzo per la capanna nella radura, nel bosco.
Buonanotte a chi ha sempre fatto il tifo per Serenella.
Buonanotte a chi, sotto sotto, ha sempre ammirato Malefica.
Buonanotte a chi sopporta i miei deliri Disney, che ormai ho una certa età e non dovrei più farle, certe cose.
Buonanotte a chi si mette a leggere questo post e magari lo trova anche bello.
Buonanotte a chi si ricorda le battute (di un libro, di un film, non importa) a memoria, e le infila normalmente nei discorsi.

Buonanotte a chi cammina con qualcuno nei sogni, a chi si riconosce guardandosi negli occhi, a chi fa il cinico ma sotto sotto è un romanticone, a chi sa innamorarsi come in un sogno.

*

Vi avviso: se mi date corda, posso continuare su questo argomento per ORE.

lunedì 20 settembre 2010

Il Dono dell'Ultima Fata Buona

Premessa per chi non mi conosce: mi piacciono le storie per bambini (dove "per bambini" in realtà è un'etichetta data un po' alla sprovvista... ho appena finito di (ri)leggere le fiabe dei fratelli Grimm, che siano benedetti). Peggio, mi piacciono i cartoni animati della Disney (e non solo, a voler essere sinceri). Insomma, da questo punto di vista, ebbene sì, lo ammetto: non sono mai uscita dall'infanzia. Di conseguenza, mi si sente spesso sproloquiare sull'argomento (devo dire, di solito sono in buona compagnia): perché ogni Principessa/Eroina che si rispetti a soli sedici anni va incontro, pressoché simultaneamente, a una svolta nella sua vita e al Principe? Perché il Colpo di Fulmine non funziona così nella vita vera? Perché la Protagonista femminile sa sempre cantare come un usignolo, una Maria Callas, un angelo, naturalmente e senza il minimo sforzo? (oltre ad essere naturalmente e senza il minimo sforzo bella, snella, flessuosa, priva di peli superflui, mai sudata anche se porta lo stesso vestito da giorni, etc.).

La domanda del giorno è: qual era il Dono che l'Ultima Fata Buona avrebbe voluto dare a Rosaspina, alias La Bella Addormentata, se non avesse dovuto rimediare alla maledizione della Strega Cattiva?

Walt Disney, rispetto a Perrault, ha cambiato un bel po' di cose (fra cui anche un nodo cruciale della trama, facendo dormire la Bella per poco meno di un giorno, contro i cento e passa anni, come filologia vorrebbe), ma il Dono dell'Ultima Fata, quello è rimasto uguale.

Le tre fatine donano ciascuna qualcosa alla piccola Rosaspina: la prima la Bellezza, la seconda il Bel Canto, e la terza... la terza viene interrotta dall'arrivo della Strega Cattiva (Malefica, la chiama Disney), che maledice la Principessa: "A sedici anni, si pungerà le dita con un fuso, e morrà!" La terza e ultima Fata Buona, allora (Serenella!), dato che non ha ancora offerto il suo Dono, decide di impiegarlo per salvarle la vita, facendola solo addormentare, e non morire.

Ma cosa le avrebbe regalato, se Malefica non fosse intervenuta?
Intelligenza?
Spiritosaggine?
Buona memoria?
... un pianoforte, iscrizione all'università più prestigiosa del regno, una tutina rosa, anzi azzurra, un orsacchiotto, una bambola, un trenino, una scopa volante, la scienza infusa, un corso di sci, non ammalarsi mai, essere sempre felice, insomma, chi più ne ha più ne metta, etc.

Quale sarebbe stato il Dono dell'Ultima Fata Buona?

martedì 14 settembre 2010

"la parola amore"

Pronunciare la parola amore è imbarazzante. La lingua si ferma, come stanca di fare un percorso noto, che troppe volte è stato fatto e ormai non vuole più rifare. Come un suono troppo conosciuto. Come le cantilene che si pronunciano senza badare al significato. O come le preghiere che possiedono spesso una sacralità che perde ogni contenuto e diviene solo ritualità. C'è un momento, però, in cui una parola insalivata da troppe bocche, manovrata e slabbrata da troppe mani incaute, diventa immacolata. E non si capisce bene il motivo, non si potrebbe ripercorrere al contrario la strada per poterlo rifare. Accade e basta.

Roberto Saviano, Il contrario della morte (in Sei fuori posto).

Se ora smettessi di scrivere, sarebbe il terzo post consecutivo "non originale", tipo album dove la proba fanciulla ottocentesca raccoglie quelle frasi che dovrebbero indirizzarla e sostenerla sulla retta via della bontà. In realtà, penso che se fossi una fanciulla ottocentesca (sul proba non mi pronuncio) il mio album sarebbe fornitissimo di frasi d'autore da citare con charme (o pedanteria), però, ecco, a me piace ricordare parole, poesie e canzoni che mi hanno colpito, ma anche rifletterci su. Sull'articolo di Fava di sabato (che, fra doppie parentesi, mi ha salvato da una coda chilometrica dal panettiere) non c'era bisogno che aggiungessi altro: mi ha catturato ed emozionato, l'ho postato perché arrivasse al maggior numero possibile di persone (l'ho postato anche su facebook, ma con scarsi risultati - io però, intanto, ci ho provato); la citazione dal personaggio di John Keating ne L'attimo Fuggente (ma diciamo pure Dead Poets Society, che è meno oraziano, ma anche meno melodrammatico) è una di quelle frasi che mi ha colpito quando ero ancora una bambina (e forse devo a frasi come quella - e film, e libri - questa pervicacia verso "le cose inutili": le tante belle cose della letteratura, che però, figlia mia, non portano in tavola il pane...), insomma, per me non c'è bisogno che la commenti è una di quelle cose che si rovinano se ne parli.

Anche l'amore è una di quelle cose che si rovina se ne parli (troppo).
"...insalivata da troppe bocche, manovrata e slabbrata da troppe mani incaute": tutte le canzonette cantano di amore, tutti gli harmony (et similia) parlano d'amore, noi stessi sembriamo che non facciamo che pensare ad altro, persino nei film Disney c'è l'immancabile storia d'amore, tutti si amano e se lo ripetono continuamente: ti amo.
Tiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamo.

Vedete come perde significato? Come diventa prima stupido e poi brutto e poi vuoto, inutile e fastidioso. Solo segni e solo suoni, e "amore" ritorna ad essere quello che è nella convenzione della lingua, un "puro nome", alleggerito da tutto il peso di cui la mente umana l'ha rivestito.

Io diffido di chi dice troppe volte, a troppe persone "ti amo". Mi fa credere che non lo creda veramente, o, peggio, che creda di amare quando in realtà non è vero.

Ma non mi fido neppure di chi non lo dice mai.
Amare fa bene, e non solo al cuore, ma all'umore, alla mente, alla pelle e ai capelli. Fa bene al sorriso, allo sguardo e al guardaroba. Fa bene allo studio, al lavoro, alla musica e alla letteratura. Fa bene al giardinaggio, alle biciclette, alle code al supermercato, alle feste altrimenti noiose, alle pulizie di casa, ai sogni, al risveglio, e alle chiacchiere fra amici. E a tante altre cose. Anche quando amare fa male, io sono convinta che porti qualcosa di buono con sé. Amare fa bene, e fa bene dire ti amo. Dire "ti amo" a una persona per la prima volta è come tuffarsi dal trampolino più alto della piscina per un bambino di cinque anni. Siamo stati tutti quel bambino, la conosciamo quella paura e quell'esaltazione, il groppo alla gola e la voglia di piangere e ridere.

Chi non dice mai "ti amo" non si è mai tuffato dal trampolino più alto. Ha paura di se stesso più che degli altri, crede di poter camminare in equilibrio, sospeso sopra a un dirupo, senza sapere che, se si lanciasse nel vuoto, le sue ali lo farebbero volare.

domenica 12 settembre 2010

we read and write poetry

We don't read and write poetry because it's cute. We read and write poetry because we are members of the human race. And the human race is filled with passion. And medicine, law, business, engineering, these are noble pursuits and necessary to sustain life. But poetry, beauty, romance, love, these are what we stay alive for. To quote from Whitman, "O me! O life!... of the questions of these recurring; of the endless trains of the faithless... of cities filled with the foolish; what good amid these, O me, O life? Answer. That you are here - that life exists, and identity; that the powerful play goes on and you may contribute a verse." That the powerful play goes on and you may contribute a verse. What will your verse be?



Dead Poets Society

sabato 11 settembre 2010

I nostri eroi che se la sono cercata - Claudio Fava

Anch’io ne conosco parecchi, come dice Andreotti, che se la sono cercata. Che invece di farsi gli affari loro, di calare la testa come giunchi di paglia aspettando che se ne andasse via la mala giornata, hanno avuto la sfrontatezza di far bene il loro mestiere: giornalisti, giudici, sindacalisti, commercianti, politici. Se l’è cercata, tre giorni fa, il sindaco Vassallo che invece di dire sempre no a quei galantuomini della camorra ogni tanto qualche “forse” poteva pure farlo sentire o no? Se la cercò Libero Grassi, diciamolo senza stare a girarci attorno: chi glielo portava, benedetto cristiano, ad andare in televisione per dire che lui il pizzo non l’avrebbe mai pagato? Glielo spiegò pure il presidente dei commercianti palermitani, usando come una profezia le stesse parole di Andreotti: che tu così te la stai cercando, lo sai? Forse lo sapeva, forse no: comunque lo ammazzarono tre giorni dopo.

Se l’è cercata Falcone, se l’è cercata Borsellino, se la sono cercata Terranova, Costa, Chinnici: potevano fare i giudici come si suggerisce adesso, processi corti, brevi, stretti, un occhio di riguardo a chi se lo merita, cassetti generosi per ingoiare e dimenticare i fascicoli più sfacciati. E invece no: la mafia, i mafiosi, gli amici intoccabili dei mafiosi… come un’ossessione, una compulsione, un’ansia di carriera. Ecco, professionisti. Nella vita e nella morte: se la sono cercata, questa loro bella morte, di che si vengono a lamentare oggi gli orfanelli?
Se la cercò pure il generale Dalla Chiesa, e su questo Andreotti era già stato allusivo quanto basta due giorni dopo che l’ ammazzarono. Venne a lagnarsi da me di suo figlio Nando, disse in un’ intervista, quel ragazzo gli dava solo dispiaceri... Mentiva, grossolanamente. Ma a tanti piacque credergli. E’ questo il punto.

Andreotti, amico conclamato di capi mafia che protesse e curò in salute per lo meno fino al 1980 (sta scritto nelle sentenze), interpreta un senso comune molto volgare ma molto diffuso. Che si esaurisce in due parole: cazzi loro. Di chi ha voluto fare l’eroe ad ogni costo, di chi s’è messo a fare il poeta, il don Chisciotte, il cacciatore di draghi e mulini a vento, il fustigatore di costumi. Cazzi suoi, se Ambrosoli se la volle prendere proprio con la P2 e Michele Sindona, il banchiere che salvò la lira (Andreotti dixit). Quando Giovanni Falcone, dopo l’attentato all’Addaura, cominciò ad andare incontro alla propria morte, il Giornale di Sicilia ricevette una letterina (che subito pubblicò, incorniciata come un Picasso) da parte di un gruppo di cittadini palermitani. Erano i vicini di casa del giudice e gli mandavano a dire che, orgogliosi delle sue battaglie, preferivano che se l’ andasse a combattere altrove: che se poi lo facevano saltare in aria davanti al portone com’era accaduto alla buon’anima di Rocco Chinnici, chi l’avrebbe pagato il conto per rifare l’intonaco alla facciata?

Andreotti, ormai prossimo a rendere conto a chi di dovere delle proprie verità e delle proprie menzogne, ha detto solo quello che pensa e che ha sempre pensato. Su Ambrosoli e su quanti hanno ritenuto, in questi anni, di dover mettere la vita al servizio della propria onestà intellettuale. Nella miseria di quelle sue parole, è stato sincero. E adesso possiamo girarci attorno quanto vogliamo, ma sappiamo che sono due idee di Italia inconciliabili tra loro: da una parte l’ex presidente del Consiglio, dall’altra Ambrosoli e quelli come lui.

In mezzo ci siamo noi, notai del nulla, pronti sempre a distinguere, a comprendere, a spiegare che è vero ma anche, ad ammirare i furbi, a sorridere di complicità su ogni volgarità, a maledire i Palazzi in attesa d’essere invitati a pranzo anche noi. E a trovare sempre un pretesto per parlar d’altro, per indignarci d’altro, per cambiare canale.

Non mi convincerete a chiamarlo senatore, il signor Andreotti. Né in questo pezzo né mai. Sono quelli come lui i veri clandestini della repubblica, non i nigeriani che sbarcano a nuoto sulle nostre spiagge. In fondo ce la siamo cercata anche noi, facendo finta per tutti questi anni che quelli come Andreotti siano stati davvero padri della patria. Non certo la nostra patria, non certo la mia patria.

Claudio Fava, L'Unità, 11 settembre 2010

venerdì 10 settembre 2010

libera e felice

Libera e felice come una farfalla, come pubblicità degli assorbenti vuole, e come dalla suddetta è stato inculcato alla mia generazione. E oggi, assorbenti o meno, mi sento davvero libera e felice, sarà la liberazione dallo spauracchio di armonia che mi ha sovrastato un po' per tutta l'estate, per la voglia di scrivere (di un ragazzo con la maglietta rossa che si chiama Sergio e ha la faccia da ingegnere, non so nient'altro), per il sole di settembre, per non neppure bene io cosa.

Insomma, aveva ragione la vale: "tanto rumore per nulla, eh?" (ma vale, tu lo sai quanto mi ha fatto penare armonia quest'estate! O meglio, le lezioni di armonia!). E poi, a riguardarla da oggi, quella di ieri è stata una bella giornata, nonostante la levataccia mattutina, lo scritto di quattro ore (che neanche all'esame di maturità mi sono sembrate così lunghe, con le spalle contratte e i capelli maltrattati), l'orale subito dopo e gli infiniti trabocchetti della forma sonata. Perché gli esami creano sempre quel cameratismo anche con chi non hai mai visto prima,e io i miei tre compagni di sventura li ho visti per tutta l'estate, per non parlare del mio "compagno di viaggio e di piano" (che ancora non sa della mia idea di defezionare a ottobre, sennò mi sgriderebbe. Ed è uno dei motivi per cui questo blog rimane per lo più segreto).

E ora, a voler essere sincera, avrei voglia di mare. Ma la stagione sembra finita, quindi mi accontenterò di divertirmi parecchio... e "basta".

venerdì 3 settembre 2010

puntini di sospensione

Ho preso la mia decisione, e chissà se avrò a pentirmene.

Già un po' rimpiango quella "nuova vita" che dovrà aspettarmi un altro po', ma sono convinta della mia scelta. Le motivazioni che mi spingevano lontano da qui c'entravano poco o nulla con l'università, ma non è fuggendo che si creano le soluzioni. Quelle ce le costruiamo da soli, e solo se lo vogliamo...

Cambieranno comunque un po' di cose a settembre (chissà, forse inconsciamente lo vedo come una sorta di "risarcimento"), e sarei costretta a mettere i puntini di sospensione, nonostante li odi (sono patetici, insoddisfacenti, e da bimbaminkia). Mi sento comunque un po' in sospensione (e quindi ne approfitterò per utilizzare i suddetti puntini senza remore), in attesa che cominci la "vita vera" a settembre... (eccoli!) fino a una settimana il pensiero di un nuovo semestre mi nauseava, ma ora ho voglia di scegliere i quaderni, con una specie di rito ormai tradizionale, riempire l'orario "con abilità strategica degna di Temistocle" (cit.), schivando sovrapposizioni e corsi noiosi, e poi prendere forsennatamente appunti, pausando di caffè più del lecito, e correndo da una sede all'altra.

Ho voglia di vita vera.

giovedì 26 agosto 2010

la vita non è un film

La vita non è un film, e grazie tante, non è certo una gran novità.
La vita non è nemmeno un bel romanzo, ma non sono stata certo io a scoprirlo.

Però credo di aver scoperto perché.

A 21 anni, 8 mesi e 8 giorni, ho capito cosa rende la vita così diversa da un film (o da un libro). No, non il fatto che è reale (dopotutto certe "opere di fantasia" non vi sono mai sembrate, in certi momenti della vostra vita, straordinariamente concrete?).

Per il momento opportuno, per il tempismo insomma: per il kairòs, l'istante perfetto di svolta, in cui succede qualcosa che fa andare avanti la storia proprio in quella direzione lì, in modo che non ci siano mai tempi morti, in modo che tutto proceda secondo la rotazione al millesimo di secondo di ingranaggi raffinatissimi, predisposti con cura dal Sapiente Orologiaio.

Sarà l'assenza del Sapiente Orologiaio, allora, ma il mio rapporto col tempismo continua a essere pessimo.
Forse mi troverai ridicola, ma mi disprezzerei se non osassi esserlo mai.





Simone de Beauvoir, Memorie di una ragazza perbene.

venerdì 20 agosto 2010

agosto fa male

stupido agosto. odio agosto. agosto è come la domenica pomeriggio prima del lunedì.
di buono nel lunedì c'è che puoi cominciare tante cose, ma io non so ancora da che parte della strada buttarmi, ed è una cosa che odio. quindi cerco di non pensarci, e poi mi odio perché non ci penso, e mi lascio scivolare tutto addosso, in accettazione passiva di tutto quel che sarà. lo odio. è come se aspettassi senza potermelo davvero permettere.

mercoledì 14 luglio 2010

belgium 2010

Belgium may be tiny, but its beers are big and bold.

Stanotte ho avuto un incubo. Un incubo universitario.
Era il primo giorno di specialistica. Venivo interrogata (come al liceo) dalla Moretti (non la birra, la prof), che mi chiedeva una cosa che non sapevo perché non l'avevo ancora studiata, e mi consigliava, poco gentilmente, di lasciar perdere con l'università. Prima di questo, o forse dopo, o durante (sapete come è strano il tempo nei sogni) pensavo che al termine dei due anni mi sarei potuta laureare con Lehnus (il Mostro Sacro di filologia classica); andavo da lui, e ancora una volta, venivo irrisa e disprezzata ("...si è appena laureata su Antigone? Ma sa dirmi di che cosa tratta il fr. 22 di Sofocle? NO?! Si vergogni, e se ne vada").

Stamattina all'alba sono stata svegliata da gatti gnaulanti. Innamorati o nemici, erano sotto la mia finestra, e mi hanno terrorizzato (salvandomi, se non altro, dalla riprovazione di professori con più sapienza che cuore).

Oggi, stando alle mie fonti, doveva esserci un open day in Statale. Forse era uno scherzo ben organizzato, perché FdP, a parte studenti sotto esame, era, come è giusto che sia al 14 luglio, deserta.

Ma poi tutto si è aggiustato.
Ho comprato una guida del Belgio (mi ero fissata che volevo la lonely planet: che ci crediate o no, in tutta la Feltrinelli ce n'era un'unica copia, ed esclusivamente in inglese!), la mia prossima (e ormai quasi imminente) meta di un viaggio un po' pazzo su due ruote. Sarà stupido, ma con la guida in mano, mentre leggiucchiavo e sbirciavo le cartine, mentre tornavo a casa, il viaggio mi è sembrato molto più reale e vicino. Non vedo l'ora.

lunedì 12 luglio 2010

incertezze e decisioni

Che sarà, che sarà, che sarà, che sarà della mia vita chi lo sa, so far tutto, forse niente, da domani si vedrà, e sarà, sarà quel che sarà.

Sono sempre stata una frana a decidere. Ci metto secoli prima di arrivare a una conclusione, e anche così il punto fermo rischia di essere più instabile del previsto. Di norma, però, dopo un lungo periodo di incertezza, arrivo a capire quello che voglio, e finalmente sono in grado di scegliere.

Milano o Pisa?
Pisa o Milano?

Ormai dovrei avere ben chiaro in mente dove voler trascorrere i due anni della specialistica.

Festa del Perdono o Via Galvani?
Rassicurante routine o nuovo mondo?

I miei spazi, i miei amici, il mio ragazzo, i miei compagni di corso, la mia casa, i miei genitori, le mie abitudini, il mio pianoforte, la mia tartaruga, il mio scaffale e i miei libri, il mio letto, il mio bagno, l'odore della mia cucina, il tragitto casa-stazione-università, i caffè al bar, i "soliti posti" e le "solite ore".

Nuova città, nuova casa, nuovi coinquilini, nuovi orari, nuovi amici, nuovi compagni, nuove abitudini, nuovi sapori, nuovi odori, nuovi posti.

Due anni non sono lunghi.
Ma due anni non sono nemmeno pochi. In fondo, mi sembra ieri che, finita la maturità, non sapevo che fare e trascinavo la mia estate nell'incertezza e nel dubbio. Questi tre anni sono una vita intera.

Io voglio vivere di avventure, ma forse sono una codarda, perché ne ho anche paura.

Paura di essere un peso ancora maggiore per i miei. Paura di perdere quello che ho. Paura della lontananza e della solitudine, del magone e della malinconia. Paura di dimenticare e farmi dimenticare. Paura di essere inadeguata, e di non avere il mio cuscino in cui affondare la faccia.

Ma poi come posso dirmi adulta se non voglio osare?
E davvero è solo osare che importa?

Milano o Pisa?
Pisa o Milano?

venerdì 9 luglio 2010

buoni propositi

Iniziare un nuovo blog è come capodanno. O i lunedì. Ti fai un sacco di buoni propositi: lo aggiornerò ogni giorno. Scriverò anche poco, ma bene. Ci metterò delle foto di tanto in tanto, perché ai lettori piace. Cercherò di essere chiara ma misteriosa, simpatica ma non ridanciana, impegnata ma non pesante, leggera ma non frivola.

Anche tagliare i capelli è come iniziare un blog. O un capodanno, o i lunedì.
Io mi faccio mille promesse: non mi tormenterò più i capelli. Pensa a come erano rovinati, anche più corti a sinistra, con il tuo vizio di farti i nodi che poi li devi tagliare (un mio amico mi aveva detto che il mio non è un vizio, è una malattia psicologica anche seria, si chiama tricotillomania). Li terrò bene, cambierò spesso pettinatura, guarda come sono belli e folti di loro, sono io che poi li attorciglio come se fossero cordame.

Ieri ho iniziato un nuovo blog.
Oggi ho tagliato i capelli, corti come non erano da tempo. Mi arrivavano a metà schiena (ma li tenevo sempre legati - fingendo di essere Audrey Hepburn in Colazione da Tiffany, ma somigliando più probabilmente alla Gualandri, che è comunque la migliore professoressa di latino mai incontrata finora), ora mi solleticano appena le spalle.

Le parrucchiere amano sentirsi dire: "sì, taglia pure".

Io amo i miei buoni proposito, anche se poi magari non li rispetto. O forse il bello è promettere e non mantenere? Sarà per questo che il bel traditore spudoratamente menzognero ha sempre tanto successo?

Ma teniamoci quest'ultimo argomento per la prossima puntata :D

giovedì 8 luglio 2010

cominciamo

Io sono una che da piccola cominciava i diari giusto per il gusto di farlo, per il piacere di piegare la prima pagina, passarci sopra la mano, rigirare la penna fra le dita e scrivere. Inutile dirlo, i diari iniziati e mai finiti sono sempre stati moltissimi.

Con i blog è un po' lo stesso, purtroppo (questo è il terzo - e mezzo - che comincio, e, come per ogni innamoramento, mi chiedo quanto durerà, lo spazio di una cotta o quello di una storia lunga bella e tormentata).

Perché sono pigra, lo so. Incostante. Insoddisfatta.
Ma anche irrimediabilmente ostinata e testarda, quando voglio (e quando ne vale la pena), e non mi importa se è un ossimoro (anzi, a me piacciono gli ossimori) (e anche aprire tante parentesi. Fateci l'abitudine, ne troverete parecchie).

Immagino che come inizio possa non essere molto incoraggiante. Ma una buona notizia ce l'ho (e forse è l'unica che valga la pena dare, in questo momento): adoro scrivere, sentire il fruscio della penna sul foglio o il ticchettio rassicurante dei tasti del mio portatile, trovare le parole per dirlo (non ci sono sempre le parole giuste per dirlo, ma quelle per provare a farlo, anche se non sono "giuste" sì).

Buona lettura.
Buona avventura.