martedì 28 settembre 2010

beginning

L'inizio della specialistica (ieri, ore 14.30, nella sede che cade -quasi- a pezzi) coincide con gli ultimi giorni della settimana della moda.

Che c'entra, direte voi.

A parte l'arrancare penosamente, con già un'accenno di raffreddore e la borsa che pesa sulla spalla (rigorosamente sinistra) disabituata al peso della cultura, dovendosi nel frattempo confrontare con creature altissime, purissime (?), sicuramente levissime, che scivolano eteree a parecchi cm di distanza rispetto al suolo dove le comuni studentesse si affaticano e soffrono.

A parte che c'è ancora più casino in giro, e il contatto con troppa gente mi urta.

A parte che c'è il sole ma non fa più caldo, e io non so come vestirmi e invece pare che tutti gli altri ci riescano senza problemi, e anche bene.

A parte.

Ci sono anche i momenti esilaranti.

Primo pomeriggio, Corso Vittorio Emanuele.
Uno stuolo di ragazze altissime e levissime, capelli stirati e vestite tutte uguali (maglietta bianca, leggings bianchi, minigonna di jeans e scarpe bianche col tacco) incedono apparentemente senza timore sul pavè. Non ho idea di chi sponsorizzino/pubblicizzino o altro, io mi trovo con due amiche per caso lì in mezzo, schiacciata dal confronto impari (e con la paura di essere travolta, il tacco fa male).

Un signore da bordo strada, con accento toscano: E MANGIATI 'NA BISTECCA!

venerdì 24 settembre 2010

the way you did once upon a dream

...e, a proposito della Bella Addormentata, non dimentichiamoci che nel film della Disney c'è nientemeno che Čajkovskij come colonna sonora.

Da bambine la cantavamo allungando le vocali (sooo chi seei, vicino al mio cuooor ognor (ognor??!) sei tuuu), senza sapere che in realtà quella era la musica di uno dei più bei balletti di tutti i tempi. Nessuno è perfetto, d'altronde.

Il problema, forse, è che ci piace ancora adesso... anzi, anche di più. Così la possiamo cantare anche in inglese (meglio se a Capodanno, e decisamente brille - ogni riferimento a fatti realmente avvenuti o persone esistenti è del tutto casuale).

Qui l'indispensabile video di youtube (ebbene sì, cerco i video delle canzoni disney su youtube, e non me ne vergogno!)

Buonanotte a chi ha sempre sognato. Il Principe Azzurro, la Principessa Azzurra, animaletti del bosco parlanti, quello che volete.
Buonanotte a chi canta e balla con le amiche senza vergognarsi.
Buonanotte a chi ha rinunciato al Principe o alla Principessa perché si è accorto che erano terribilmente noiosi.
Buonanotte a chi ha snobbato il Palazzo per la capanna nella radura, nel bosco.
Buonanotte a chi ha sempre fatto il tifo per Serenella.
Buonanotte a chi, sotto sotto, ha sempre ammirato Malefica.
Buonanotte a chi sopporta i miei deliri Disney, che ormai ho una certa età e non dovrei più farle, certe cose.
Buonanotte a chi si mette a leggere questo post e magari lo trova anche bello.
Buonanotte a chi si ricorda le battute (di un libro, di un film, non importa) a memoria, e le infila normalmente nei discorsi.

Buonanotte a chi cammina con qualcuno nei sogni, a chi si riconosce guardandosi negli occhi, a chi fa il cinico ma sotto sotto è un romanticone, a chi sa innamorarsi come in un sogno.

*

Vi avviso: se mi date corda, posso continuare su questo argomento per ORE.

lunedì 20 settembre 2010

Il Dono dell'Ultima Fata Buona

Premessa per chi non mi conosce: mi piacciono le storie per bambini (dove "per bambini" in realtà è un'etichetta data un po' alla sprovvista... ho appena finito di (ri)leggere le fiabe dei fratelli Grimm, che siano benedetti). Peggio, mi piacciono i cartoni animati della Disney (e non solo, a voler essere sinceri). Insomma, da questo punto di vista, ebbene sì, lo ammetto: non sono mai uscita dall'infanzia. Di conseguenza, mi si sente spesso sproloquiare sull'argomento (devo dire, di solito sono in buona compagnia): perché ogni Principessa/Eroina che si rispetti a soli sedici anni va incontro, pressoché simultaneamente, a una svolta nella sua vita e al Principe? Perché il Colpo di Fulmine non funziona così nella vita vera? Perché la Protagonista femminile sa sempre cantare come un usignolo, una Maria Callas, un angelo, naturalmente e senza il minimo sforzo? (oltre ad essere naturalmente e senza il minimo sforzo bella, snella, flessuosa, priva di peli superflui, mai sudata anche se porta lo stesso vestito da giorni, etc.).

La domanda del giorno è: qual era il Dono che l'Ultima Fata Buona avrebbe voluto dare a Rosaspina, alias La Bella Addormentata, se non avesse dovuto rimediare alla maledizione della Strega Cattiva?

Walt Disney, rispetto a Perrault, ha cambiato un bel po' di cose (fra cui anche un nodo cruciale della trama, facendo dormire la Bella per poco meno di un giorno, contro i cento e passa anni, come filologia vorrebbe), ma il Dono dell'Ultima Fata, quello è rimasto uguale.

Le tre fatine donano ciascuna qualcosa alla piccola Rosaspina: la prima la Bellezza, la seconda il Bel Canto, e la terza... la terza viene interrotta dall'arrivo della Strega Cattiva (Malefica, la chiama Disney), che maledice la Principessa: "A sedici anni, si pungerà le dita con un fuso, e morrà!" La terza e ultima Fata Buona, allora (Serenella!), dato che non ha ancora offerto il suo Dono, decide di impiegarlo per salvarle la vita, facendola solo addormentare, e non morire.

Ma cosa le avrebbe regalato, se Malefica non fosse intervenuta?
Intelligenza?
Spiritosaggine?
Buona memoria?
... un pianoforte, iscrizione all'università più prestigiosa del regno, una tutina rosa, anzi azzurra, un orsacchiotto, una bambola, un trenino, una scopa volante, la scienza infusa, un corso di sci, non ammalarsi mai, essere sempre felice, insomma, chi più ne ha più ne metta, etc.

Quale sarebbe stato il Dono dell'Ultima Fata Buona?

martedì 14 settembre 2010

"la parola amore"

Pronunciare la parola amore è imbarazzante. La lingua si ferma, come stanca di fare un percorso noto, che troppe volte è stato fatto e ormai non vuole più rifare. Come un suono troppo conosciuto. Come le cantilene che si pronunciano senza badare al significato. O come le preghiere che possiedono spesso una sacralità che perde ogni contenuto e diviene solo ritualità. C'è un momento, però, in cui una parola insalivata da troppe bocche, manovrata e slabbrata da troppe mani incaute, diventa immacolata. E non si capisce bene il motivo, non si potrebbe ripercorrere al contrario la strada per poterlo rifare. Accade e basta.

Roberto Saviano, Il contrario della morte (in Sei fuori posto).

Se ora smettessi di scrivere, sarebbe il terzo post consecutivo "non originale", tipo album dove la proba fanciulla ottocentesca raccoglie quelle frasi che dovrebbero indirizzarla e sostenerla sulla retta via della bontà. In realtà, penso che se fossi una fanciulla ottocentesca (sul proba non mi pronuncio) il mio album sarebbe fornitissimo di frasi d'autore da citare con charme (o pedanteria), però, ecco, a me piace ricordare parole, poesie e canzoni che mi hanno colpito, ma anche rifletterci su. Sull'articolo di Fava di sabato (che, fra doppie parentesi, mi ha salvato da una coda chilometrica dal panettiere) non c'era bisogno che aggiungessi altro: mi ha catturato ed emozionato, l'ho postato perché arrivasse al maggior numero possibile di persone (l'ho postato anche su facebook, ma con scarsi risultati - io però, intanto, ci ho provato); la citazione dal personaggio di John Keating ne L'attimo Fuggente (ma diciamo pure Dead Poets Society, che è meno oraziano, ma anche meno melodrammatico) è una di quelle frasi che mi ha colpito quando ero ancora una bambina (e forse devo a frasi come quella - e film, e libri - questa pervicacia verso "le cose inutili": le tante belle cose della letteratura, che però, figlia mia, non portano in tavola il pane...), insomma, per me non c'è bisogno che la commenti è una di quelle cose che si rovinano se ne parli.

Anche l'amore è una di quelle cose che si rovina se ne parli (troppo).
"...insalivata da troppe bocche, manovrata e slabbrata da troppe mani incaute": tutte le canzonette cantano di amore, tutti gli harmony (et similia) parlano d'amore, noi stessi sembriamo che non facciamo che pensare ad altro, persino nei film Disney c'è l'immancabile storia d'amore, tutti si amano e se lo ripetono continuamente: ti amo.
Tiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamotiamo.

Vedete come perde significato? Come diventa prima stupido e poi brutto e poi vuoto, inutile e fastidioso. Solo segni e solo suoni, e "amore" ritorna ad essere quello che è nella convenzione della lingua, un "puro nome", alleggerito da tutto il peso di cui la mente umana l'ha rivestito.

Io diffido di chi dice troppe volte, a troppe persone "ti amo". Mi fa credere che non lo creda veramente, o, peggio, che creda di amare quando in realtà non è vero.

Ma non mi fido neppure di chi non lo dice mai.
Amare fa bene, e non solo al cuore, ma all'umore, alla mente, alla pelle e ai capelli. Fa bene al sorriso, allo sguardo e al guardaroba. Fa bene allo studio, al lavoro, alla musica e alla letteratura. Fa bene al giardinaggio, alle biciclette, alle code al supermercato, alle feste altrimenti noiose, alle pulizie di casa, ai sogni, al risveglio, e alle chiacchiere fra amici. E a tante altre cose. Anche quando amare fa male, io sono convinta che porti qualcosa di buono con sé. Amare fa bene, e fa bene dire ti amo. Dire "ti amo" a una persona per la prima volta è come tuffarsi dal trampolino più alto della piscina per un bambino di cinque anni. Siamo stati tutti quel bambino, la conosciamo quella paura e quell'esaltazione, il groppo alla gola e la voglia di piangere e ridere.

Chi non dice mai "ti amo" non si è mai tuffato dal trampolino più alto. Ha paura di se stesso più che degli altri, crede di poter camminare in equilibrio, sospeso sopra a un dirupo, senza sapere che, se si lanciasse nel vuoto, le sue ali lo farebbero volare.

domenica 12 settembre 2010

we read and write poetry

We don't read and write poetry because it's cute. We read and write poetry because we are members of the human race. And the human race is filled with passion. And medicine, law, business, engineering, these are noble pursuits and necessary to sustain life. But poetry, beauty, romance, love, these are what we stay alive for. To quote from Whitman, "O me! O life!... of the questions of these recurring; of the endless trains of the faithless... of cities filled with the foolish; what good amid these, O me, O life? Answer. That you are here - that life exists, and identity; that the powerful play goes on and you may contribute a verse." That the powerful play goes on and you may contribute a verse. What will your verse be?



Dead Poets Society

sabato 11 settembre 2010

I nostri eroi che se la sono cercata - Claudio Fava

Anch’io ne conosco parecchi, come dice Andreotti, che se la sono cercata. Che invece di farsi gli affari loro, di calare la testa come giunchi di paglia aspettando che se ne andasse via la mala giornata, hanno avuto la sfrontatezza di far bene il loro mestiere: giornalisti, giudici, sindacalisti, commercianti, politici. Se l’è cercata, tre giorni fa, il sindaco Vassallo che invece di dire sempre no a quei galantuomini della camorra ogni tanto qualche “forse” poteva pure farlo sentire o no? Se la cercò Libero Grassi, diciamolo senza stare a girarci attorno: chi glielo portava, benedetto cristiano, ad andare in televisione per dire che lui il pizzo non l’avrebbe mai pagato? Glielo spiegò pure il presidente dei commercianti palermitani, usando come una profezia le stesse parole di Andreotti: che tu così te la stai cercando, lo sai? Forse lo sapeva, forse no: comunque lo ammazzarono tre giorni dopo.

Se l’è cercata Falcone, se l’è cercata Borsellino, se la sono cercata Terranova, Costa, Chinnici: potevano fare i giudici come si suggerisce adesso, processi corti, brevi, stretti, un occhio di riguardo a chi se lo merita, cassetti generosi per ingoiare e dimenticare i fascicoli più sfacciati. E invece no: la mafia, i mafiosi, gli amici intoccabili dei mafiosi… come un’ossessione, una compulsione, un’ansia di carriera. Ecco, professionisti. Nella vita e nella morte: se la sono cercata, questa loro bella morte, di che si vengono a lamentare oggi gli orfanelli?
Se la cercò pure il generale Dalla Chiesa, e su questo Andreotti era già stato allusivo quanto basta due giorni dopo che l’ ammazzarono. Venne a lagnarsi da me di suo figlio Nando, disse in un’ intervista, quel ragazzo gli dava solo dispiaceri... Mentiva, grossolanamente. Ma a tanti piacque credergli. E’ questo il punto.

Andreotti, amico conclamato di capi mafia che protesse e curò in salute per lo meno fino al 1980 (sta scritto nelle sentenze), interpreta un senso comune molto volgare ma molto diffuso. Che si esaurisce in due parole: cazzi loro. Di chi ha voluto fare l’eroe ad ogni costo, di chi s’è messo a fare il poeta, il don Chisciotte, il cacciatore di draghi e mulini a vento, il fustigatore di costumi. Cazzi suoi, se Ambrosoli se la volle prendere proprio con la P2 e Michele Sindona, il banchiere che salvò la lira (Andreotti dixit). Quando Giovanni Falcone, dopo l’attentato all’Addaura, cominciò ad andare incontro alla propria morte, il Giornale di Sicilia ricevette una letterina (che subito pubblicò, incorniciata come un Picasso) da parte di un gruppo di cittadini palermitani. Erano i vicini di casa del giudice e gli mandavano a dire che, orgogliosi delle sue battaglie, preferivano che se l’ andasse a combattere altrove: che se poi lo facevano saltare in aria davanti al portone com’era accaduto alla buon’anima di Rocco Chinnici, chi l’avrebbe pagato il conto per rifare l’intonaco alla facciata?

Andreotti, ormai prossimo a rendere conto a chi di dovere delle proprie verità e delle proprie menzogne, ha detto solo quello che pensa e che ha sempre pensato. Su Ambrosoli e su quanti hanno ritenuto, in questi anni, di dover mettere la vita al servizio della propria onestà intellettuale. Nella miseria di quelle sue parole, è stato sincero. E adesso possiamo girarci attorno quanto vogliamo, ma sappiamo che sono due idee di Italia inconciliabili tra loro: da una parte l’ex presidente del Consiglio, dall’altra Ambrosoli e quelli come lui.

In mezzo ci siamo noi, notai del nulla, pronti sempre a distinguere, a comprendere, a spiegare che è vero ma anche, ad ammirare i furbi, a sorridere di complicità su ogni volgarità, a maledire i Palazzi in attesa d’essere invitati a pranzo anche noi. E a trovare sempre un pretesto per parlar d’altro, per indignarci d’altro, per cambiare canale.

Non mi convincerete a chiamarlo senatore, il signor Andreotti. Né in questo pezzo né mai. Sono quelli come lui i veri clandestini della repubblica, non i nigeriani che sbarcano a nuoto sulle nostre spiagge. In fondo ce la siamo cercata anche noi, facendo finta per tutti questi anni che quelli come Andreotti siano stati davvero padri della patria. Non certo la nostra patria, non certo la mia patria.

Claudio Fava, L'Unità, 11 settembre 2010

venerdì 10 settembre 2010

libera e felice

Libera e felice come una farfalla, come pubblicità degli assorbenti vuole, e come dalla suddetta è stato inculcato alla mia generazione. E oggi, assorbenti o meno, mi sento davvero libera e felice, sarà la liberazione dallo spauracchio di armonia che mi ha sovrastato un po' per tutta l'estate, per la voglia di scrivere (di un ragazzo con la maglietta rossa che si chiama Sergio e ha la faccia da ingegnere, non so nient'altro), per il sole di settembre, per non neppure bene io cosa.

Insomma, aveva ragione la vale: "tanto rumore per nulla, eh?" (ma vale, tu lo sai quanto mi ha fatto penare armonia quest'estate! O meglio, le lezioni di armonia!). E poi, a riguardarla da oggi, quella di ieri è stata una bella giornata, nonostante la levataccia mattutina, lo scritto di quattro ore (che neanche all'esame di maturità mi sono sembrate così lunghe, con le spalle contratte e i capelli maltrattati), l'orale subito dopo e gli infiniti trabocchetti della forma sonata. Perché gli esami creano sempre quel cameratismo anche con chi non hai mai visto prima,e io i miei tre compagni di sventura li ho visti per tutta l'estate, per non parlare del mio "compagno di viaggio e di piano" (che ancora non sa della mia idea di defezionare a ottobre, sennò mi sgriderebbe. Ed è uno dei motivi per cui questo blog rimane per lo più segreto).

E ora, a voler essere sincera, avrei voglia di mare. Ma la stagione sembra finita, quindi mi accontenterò di divertirmi parecchio... e "basta".

venerdì 3 settembre 2010

puntini di sospensione

Ho preso la mia decisione, e chissà se avrò a pentirmene.

Già un po' rimpiango quella "nuova vita" che dovrà aspettarmi un altro po', ma sono convinta della mia scelta. Le motivazioni che mi spingevano lontano da qui c'entravano poco o nulla con l'università, ma non è fuggendo che si creano le soluzioni. Quelle ce le costruiamo da soli, e solo se lo vogliamo...

Cambieranno comunque un po' di cose a settembre (chissà, forse inconsciamente lo vedo come una sorta di "risarcimento"), e sarei costretta a mettere i puntini di sospensione, nonostante li odi (sono patetici, insoddisfacenti, e da bimbaminkia). Mi sento comunque un po' in sospensione (e quindi ne approfitterò per utilizzare i suddetti puntini senza remore), in attesa che cominci la "vita vera" a settembre... (eccoli!) fino a una settimana il pensiero di un nuovo semestre mi nauseava, ma ora ho voglia di scegliere i quaderni, con una specie di rito ormai tradizionale, riempire l'orario "con abilità strategica degna di Temistocle" (cit.), schivando sovrapposizioni e corsi noiosi, e poi prendere forsennatamente appunti, pausando di caffè più del lecito, e correndo da una sede all'altra.

Ho voglia di vita vera.