martedì 21 dicembre 2010

Rapunzel, sciogli i tuoi capelli (e le tue domande)

Giovedì ho visto Rapunzel.
Sì, guardo ancora i cartoni animati Disney, ormai lo sapete e non sento nemmeno più il bisogno di giustificarmi, sono al di là di ogni vergogna.

Che dire, a me è piaciuto moltissimo. Bello da vedere, divertente, con una Lei (tanto per cambiare) bellissima e un Lui niente male (sbaglio o è il primo con il pizzetto?). Non sottovaluterei neppure l'ossessione morbosa per la bellezza e la giovinezza della Cattiva, Madre Gothel; il rapporto "sindrome di Stoccolma" di Rapunzel con la propria madre adottiva; il taglio di capelli finale, e, soprattutto, una protagonista femminile che sì è stata rinchiusa per tutta la vita, ma che se la sa cavare (certo, avere capelli magici aiuta), e impugna una padella non solo per cucinare.

Comunque, non sono qui per recensire il film, né per un'altra puntata semasiologica Disney. Ho alcuni quesiti da porre (grazie ad Annie, che mi ha dato il via all'ispirazione).

- ma Gothel non si affeziona alla bimba? Neanche un po'? D'accordo, questo è manicheo e disneyano, ma non è verosimile!

- volete farmi credere che il re e la regina non sanno che nel loro regno (e non lontano dalla capitale, dopotutto), c'è una valle idilliaca con una torretta altissima (che oltretutto è uguale a Granburrone)?

- nella torretta c'è un sistema di acqua corrente, VERO??

- nessuno si accorge che la piccola sconosciuta con i capelli lunghissimi (a proposito, perché nessuno se ne stupisce?!) è identica alla regina, e che quindi potrebbe essere verosimilmente lei la principessa perduta?

- la regina si è mantenuta così giovane è bella soltanto perché è donna, o perché il fiore magico ha avuto un benefico effetto?

- era proprio necessario fare un decotto di 'sto benedetto fiore? E comunque, se fosse stato per salvare la moglie del mezzadro, non ci avrebbero neppure pensato!

- il trip grazie a cui Rapunzel si rende conto di essere la Vera Principessa Perduta, e che sua madre in realtà è un'impostora, è ridicolo. Dai, potevate pensarla meglio! Era in fasce quando è stata rapita, come è possibile che lo stemma del sole le si sia impresso in mente tanto da riprodurlo, inconsciamente, ovunque?

- "... però vedi, è una fregatura, cioè, lei lo ha salvato, anzi, lo ha praticamente resuscitato, lui non potrà mai lasciarla, anche se non la amerà più, insomma, si sentirà legato per sempre a lei, e perennemente in debito!" (Cit. Annie 2010). (Che però, a ben pensarci, è quello che succede praticamente sempre. La Bestia viene salvata dalla morte e fatta tornare umana, Biancaneve e La Bella Addormentata salvate dal sonno eterno, Cenerentola da una vita di servitù e umiliazioni...)

- quando lei piange e lo salva (i fasci di luce dal petto sembrano quelli de La Bella e la Bestia), mi state dicendo che il potere del fiore, che prima era nei capelli, ora è comunque rimasto dentro di lei? E quindi Rapunzel ha, poniamo... lacrime-elisir-di-giovinezza? Lacrime-che-guariscono-da-ogni-male? O è solo la storia del Vero Amore?

- dato che non appena le si taglia una ciocca questa diventa castana (in quanto castana, mi sento menomata) e perde, per così dire, ogni potere... Rapunzel non si è mai tormentata i capelli! Ma soprattutto... a Rapunzel non sono mai caduti i capelli! Perché o ricrescono naturalmente magici, oppure non cadono mai, neppure sotto la doccia (e questa è una bella consolazione, già pensavo con orrore allo scarico...); ma ora che è castana e non più magica, le ricresceranno normalmente? O continueranno a non caderle mai? O li perderà come si perdono i capelli normalmente, ma senza che questi vengano sostituiti da altri nuovi?

mercoledì 15 dicembre 2010

I just hope that we'll have better lives

Avrei in programma un altro post simile al precedente, e un paio su cose che odio (tipo le signore impellicciate, snob ma del tutto  c a f o n e  che ho trovato stamattina in treno), ma... non mi va. (Tra l'altro, sto scrivendo anche troppo secondo me).


Non mi va non perché non abbia voglia di scrivere (l'ho appena detto che sto scrivendo anche troppo, no?), ma perché non voglio scrivere, oggi, di cose brutte o odiose, o antipatiche, o anche soltanto fastidiose o tristi. Non che sia successo granché, anzi.


Come un sorriso improvviso, come un saluto inaspettato, come un giorno di vacanza non programmato, ma soprattutto come una canzone che non conosci che ti entra nelle orecchie appena sveglia.


Zee Avi, Darlin' It Ain't Easy


I'm down to my last
stick of cigarette
I'm down to the last thought
in my head

You saw me
packing my bags
You asked me
if I was coming back
And I told you
that I wasn't sure
and I'm
five steps away from out the door

Darlin' it ain't easy
for me to say goodbye
but I have found myself another guy

You look confused
And I don't blame you
But you're never around
enough for me to love you
me to love you

Darlin' you don't deserve me
you don't deserve my love
I had plenty to give
but you shrugged it off

Don't think I dont know
about the hair on the pillow
and it seems like what we had was just a show
was it all
just a show?

Darlin' it ain't easy
for us to say goodbye
I just hope that we'll have better lives
*
So che amorechevieniamorechevai non c'entra molto come tag nel post, ma c'entra nella canzone. E poi il blog è mio e me lo gestisco io. Buona serata, gentaglia :)


lunedì 13 dicembre 2010

La sindrome di Enea

(quis fallere possit amantem?)
Verg., Aen., IV, 296

Pare che ad ogni esame di latino, o quasi, mi tocchi tradurre qualcosa di Virgilio: il sesto dell'Eneide, il quarto delle Georgiche, e ora il secondo ed il quarto ancora dell'Eneide. C'è da dire che ogni volta c'è almeno un verso per cui ne valga la pena: una delle mie trovate migliori per un costume di Carnevale lo devo alla descrizione virgiliana di un personaggio infernale (...et Discordia demens/ vipereum crinem vittis innexta cruentis); l'elenco alla lunga noioso (e assurdamente disgustoso!) per diventare un perfetto apicoltore venne ricompensato dal mito struggente di Orfeo e Euridice (e chi se ne importa se fu o non fu il prototipo di "delitto perfetto", come sostiene Lella Costa, se ti regala un verso come invalidasque tibi tendens, eheu non tua, palmas?); quest'anno, finalmente, mi è toccato anche il quarto libro, incentrato sull'amore (ovviamente non a lieto fine) tra Enea, quello che teoricamente dovrebbe essere il protagonista, e Didone, la bellissima regina fenicia, vedova inconsolabile (si fa per dire) che ovviamente non riesce a resistere al fascino del figlio di Afrodite. In cambio di una manciata di illusione si troverà (sedotta e) abbandonata; disperata, non le resta che il suicidio. Ma prima si lancia in una lunga maledizione, terrificante e spaventosa. C'è tutto lì: l'amore tradito, la disillusione, la rabbia, il rimpianto, e l'affetto che, avvelenatosi, si trasforma inesorabilmente in odio. L'ho letta per la prima volta al ginnasio (già intuendo, giovane e ingenua, i vantaggi di un'educazione classica: "Vuoi mettere, uno ti lascia e tu gli urli dietro: Sole, che con le tue fiamme tutte l'opere illumini / della terra, e tu artefice e complice di queste pene, Giunone, / Ecate, che per trivii e città notturno l'ululo evoca, Dire vendicatrici, dèi d'Elissa che muore, etc."), ora mi mancano ancora un 200 versi per tradurla finalmente a modo mio (niente di personale, Rosa Calzecchi Onesti, ma d'altra parte penso tu possa capirne la soddisfazione).

Comunque, già a 15 anni mi era chiaro che Enea era un idiota.
Prima si perde la moglie Creusa per strada, e non se ne accorge neppure (ma già, lui è così pius e pirla che prende il padre in spalletta, il figlio piccolo per mano e poi dice "segua i miei passi, da lontano, la moglie"), salvo poi disperarsi alla follia (non si capisce bene perché, in fondo non è che sembra gliene importasse molto) ed essere consolato dal fantasma della moglie stessa (anche tu, però, Creusa! Lo abitui male, poi non è che puoi lamentarti), che gli annuncia grandi cose, fra cui un'altra moglie. Ma insomma, il cadavere della prima è probabilmente ancora caldo, non può già pensare alla prossima!

Poi, si arriva al quarto libro. Didone è... Didone è l'eroina tragica perfetta, secondo me. Bella, bellissima, intelligente e infelice. Mi piace come riesce a convincere Iarba a farsi concedere un po' di terra: tanta terra quanta ne copre il mio mantello... Non gli spiega prima, però, che il mantello lo disfa, e con un lunghissimo filo riuscirà a circondare terreno sufficiente per costruirci una città (e che città: la mia amata Cartagine). Nonostante sia stato gabbato in maniera così palese, Iarba la sposerebbe comunque, ma lei rifiuta: è ancora innamorata del marito, barbaramente assassinato dal fratello di lei. Poi arriva Enea, e pensa che le sia stato concesso di amare ancora. Certo, l'eroe troiano ha fascino, e, in più, può contare su tutti i trucchi di seduzione messi a disposizione da mamma Afrodite: Didone è giovane, lo ammira, si innamora, si fida, lo ama e, anche se non sono sposati "lo chiama marito". Il freddo Virgilio ne sembra scandalizzato, a noi invece riesce facile immaginarcela, persa dietro "lo Straniero", incurante della gente che mormora, delle malelingue velenose, mentre vive i momenti più belli e inebrianti della sua breve storia d'amore.

Infatti Enea, al primo fischio da parte dell'annoiato Giove, è pronto a partire per l'Italia, senza essere nemmeno sfiorato dal dolore di dover lasciare quella che, insomma, è un po' più di una con cui è andato a letto qualche volta. Invece tutto quello che lo preoccupa è "come dirglielo", e dopo averci ben pensato (!), idea geniale!, si prepara a fuggir... ehm, partire in fretta e furia, e senza dire niente a nessuno. Didone, che è donna, intelligente e innamorata (quis fallere possit amantem?), lo scopre subito.

Ora, mi spiace per tutti voi che state leggendo e che ho annoiato con cose che sapete già, ma era una premessa necessaria per porre le seguenti domande e lasciarmi trascinare nella mia invettiva contra Aeneam.

Ma brutto deficiente. Ma chi ti credi di essere? Come ti  p e r m e t t i  di fare il cretino, ferire così i sentimenti di una donna che meritava tanto più di te? No, bravo, proprio bravi, te e Odisseo, i grandi scopatori del Mediterraneo, mi fate schifo.

E il fatto è che non ha nemmeno il coraggio di dirle: guarda, mi spiace, non facevo sul serio. Devo andare, comunque è stato bello, grazie, ciao. Oppure di buttarla sul melodrammatico: chessò, ti amo e ti amerò sempre, me ne vado contro la mia volontà, etc. E invece no, le dice che, se proprio stesse a lui decidere, lui, povero ciucciolo, si sarebbe messo a ricostruire Troia, pius e pirla, e avrebbe pianto con amore e dolore i suoi cari. Neanche una lacrimuccia per la povera Didone. E poi una non si dovrebbe arrabbiare.

Neanche a dirlo, Didone si uccide, pazza di rabbia e dolore, e Enea raggiunge bel bello l'Italia. Eh sì, l'Italia, avete capito bene. Poi una si fa domande sul maschio latino, ma è la  m i t o l o g i a, mie care, che spiega tutto.

mercoledì 8 dicembre 2010

Working class hero

Quando ero piccola, durante il ponte di Sant'Ambrogio (festeggiato dalla mia famiglia anche per un altro motivo - evidente a chiunque legga l'etichetta sul citofono) si faceva l'albero di Natale e il presepe. In questa parte d'Italia, a quanto ne so, funziona così. Poi le radici nordiche (non biologiche, ma d'elezione) di mia madre hanno avuto la meglio, e il minimalismo ha dato una motivazione nobile alla pigrizia: ora le decorazioni natalizie si fanno la Vigilia, e sono MOLTO ridotte.

La colonna sonora di Natale (per fare l'albero, la mattina del 25 e in ogni altro momento) è sempre stata, ed è ancora, John Lennon. In particolare, una raccolta che viene fatta partire alla traccia 8, con Merry Xmas (War is Over), e poi riascoltata e riascoltata e riascoltata.



Love mi ha insegnato come si può provare a dare una definizione di "amore" senza essere patetici, e Stand By Me a chiedere di restare senza supplicare. E poi mi hai insegnato ad essere troppo idealista e rivoluzionaria (cit.) con  Imagine e Give Peace a Chance e Power to the People


Mi hai insegnato Hair Peace, Bed Peace.

L'8 Dicembre è l'anniversario della morte di John Lennon. Me lo ricordo, un 8 Dicembre a fare l'albero, e papà che guarda mamma e dice: "Sai? Oggi è l'anniversario della morte di John Lennon".

Ero piccola allora, ma i Beatles li conoscevo già tutti, e John Lennon, beh, era un personaggio familiare, come una specie di fratello maggiore di mio padre (ma più simpatico dei miei zii), o, meglio, un ex compagno di scuola un po' pazzo. Un working class hero.

E così ogni 8 Dicembre non posso non fare a meno di pensare: "Sai? Oggi è l'anniversario della morte di John Lennon". E sentire quanto la sua musica sia ancora amata mi fa bene, mi dà l'illusione che sia ancora vivo, o forse non è un'illusione, perché se la tua musica è viva sono vive anche le idee che cantavi, e questo, per l'uomo, è quanto di più simile ci sia all'immortalità (o forse lo è, perché tu prova a dire "non è morto").



Ciò non toglie che le trasmissioni "di anniversario" (30 anni nel 2010, possiamo farci su un servizio niente male!) mi diano un po' di nausea. Sul serio. Chissà cosa ne penseresti, zio John. So già che rideresti dietro i tuoi occhialini tondi.

martedì 7 dicembre 2010

Sinterklaas rocks

Ho passato gli ultimi tre giorni in Olanda, ospite della mia amica di penna, che ho conosciuto anni fa in una vacanza studio. Dopo esserci scritte più o meno con continuità, ci siamo viste un paio di volte nell'ultimo anno.

Mi piace il nord Europa, il gusto di certi cibi, la forma delle case, la faccia della gente, il the, il piumone disteso sul letto. Nonostante mi aspettassi tutto questo, mi sono trovata (piacevolmente) sorpresa (e ri-accolta) da mille altre (piccole e grandi) cose.



Svegliarsi in aereo poco prima dell'atterraggio, guardare fuori dal finestrino e vedere, nell'aria ancora blu dell'alba, strane forme bianche sulla terra. Intorpidita, penso per un minuto che sia acqua, senza capire il perché di quei laghi dalla strana forma, intorno a gioielli di luci calde. Poi mi rendo conto, con la sorpresa del bambino la mattina di Natale, che è neve.

L'aeroporto di Eindhoven è piccolo. Ci sono alberi di natale alti pressapoco come me, decorati con cuoricini di legno rosso, poche palline e due semplici festoni, senza lucette epilettiche.

La casa della mia amica è stata costruita nel 1852 (ma la parte principale è molto più vecchia). Ci sono una cucina spaziosa che dà sul giardino coperto di neve, una "red room" come sala da pranzo, e una grande whatever room che fa da soggiorno, sala da pranzo, da the e da chiacchiere. Il legno per terra è in listoni largh, vecchi e distanziati, il divano è bianco e senza pretese, ma la mia poltrona preferita è di velluto verde oliva, completamente consunto sui braccioli, con la fodera addirittura strappata dall'usura; è il giusto mezzo, né grande né piccola, né dura né morbida, e, se fossi un gatto, sarebbe quella dove mi acciambellerei la sera. Al primo piano c'è la sua stanza, il bagno (inaspettatamente piccolo, rispetto al resto!), la camera da letto dei genitori, e le due stanza dove lavorano, piene di libri e riviste, così in disordine che dalla porta alla scrivania c'è solo un sentiero lasciato libero per il passaggio; piena di libri è anche la mansarda, dove in una stanzetta hanno preparato il letto per me. Il piumone è blu, e la finestra, che dà sul campanile, è ancora incrostata di ghiaccio perché il riscaldamento, lì, è stato appena acceso...



La mia amica Anna mi porta in città di cui ho già sentito parlare, come Utrecht, e in paesini minuscoli, in cui non andrei se fossi solo una turista, come quello devo vive il nonno pittore, che, anche se non possiamo parlare, ci tiene ad offrirmi the e cioccolatini, a farmi vedere i suoi quadri, e a farmi i complimenti per il mio cappotto rosso.

Gentili. Sono tutti gentili con me. D'accordo, sono loro ospite, ma è gentile anche la signora che vende il pane, mi sorride la bigliettaia del museo e la vicina di casa che, scoperto che sono italiana, anche se sta perdendo il treno si ferma a dirmi Buonasera; è gentile la coppia che mangia patatine e maionese e    ride dei ritardi dei treni olandesi (e io che pensavo che solo in Italia...), e il ragazzo che attacca bottone solo perché capisce che sono straniera e vuole sapere da dove vengo, cosa faccio e come ho conosciuto la mia amica; è carino Thomas che vuole cenare italiano e si fida della mia cucina (senza sapere che, qui, nessuno dei miei amici mi farebbe mai cucinare!), ma poi, al supermercato, mi spiega che vuole mangiare casoncelli (500 g) col sugo di pelati (due barattoli) e prosciutto (due confezioni), per poi sdebitarsi lavando i piatti.

Passo tre giorni a mangiare, e probabilmente sono ingrassata, ma chi se ne importa. Per me che amo il pane, ogni panetteria è il paradiso, e ogni banale supermercato una selva di tentazioni. Pane, burro, marmellate, appelstroop, cioccolato, olieballen, salumi, formaggi, erwtensoep, patate, cavolo, salsicce, boerenkool, e poi ancora roggebrood, pane dolce, biscotti di ogni tipo, cioccolato.



Per terra c'è la neve e il ghiaccio, ma tutti girano in bicicletta, e non so come facciano.

A Nijmegen c'è un campus che è una città a parte. La mensa degli studenti sembra un ristorante, il cafè è un vero e proprio pub, le biblioteche sono enormi e organizzatissime, in ogni dipartimento c'è una stanzetta dove tutti, prof e studenti, possono scaldarsi una tazza di the o di caffè sul bollitore, e le persone che incontro mi invitano a venire a studiare lì (mentre Anna, non so come, è convinta che la mia università, solo perché è in un palazzo antico, sia più bella). Anna ha una camera piuttosto grande a mezz'oretta a piedi dall'università, condivide la casa con altre 5 persone (ma la cucina e il bagno con sole altre 3); ha un servizio di piatti bianco e blu comprato di seconda o terza mano a una bancarella, un tavolo, un divano e un letto che, se serve, diventa matrimoniale. L'affitto non penso sia un problema per i suoi, ma non è caro e non deve lavorare per mantenersi lì.



E non vi ho parlato di Sinterklaas.
Perché festeggiare a Natale il noioso Babbo Natale, quando si possono ricevere dolci e regali per settimane, ma soprattutto il 5 dicembre? (A dire il vero con me lo hanno festeggiato il giorno precedente, perché io e Anna la sera ce ne saremmo andate a Nijmegen). In giro per le strade ci sono ragazzi mascherati da Zwarte Piet e con la faccia impiastricciata di marrone, che ti riempiono le mani di biscotti e mandarini. La sera si lascia una scarpa vicino al camino, e la mattina seguente (se si è stati bravi durante l'anno) si trovano dolci e regali (Sinterklaas di cioccolato, l'iniziale del proprio nome in cioccolato, biscotti, mandarini e regali veri e propri - a noi ci sono volute due tazze di the e quasi due ore per finire la colazione e scartare i regali).

E sarà stata la neve, sarà stato il cibo o la buona birra, sarà stato il cappotto rosso, ma mi sono innamorata.

giovedì 2 dicembre 2010

Figli di miseri padri affrontano il mio furore! (Hom, Il, VI, 127)

E sai ora che c'è?


C'è che per la prima volta, per una frase casuale, mi arrabbio. No, non per quello che credi tu.


Mi arrabbio per tutto il tempo buttato. Tempo che ho  s p r e c a t o. Questi ultimi mesi sono stata la fine classica di ogni storia. Un trascinarsi inutile e illusorio, una tappa obbligata, forse. Poi penso che se a Febbraio ti avessi detto di no ci saremmo lasciati definitivamente allora, e, oggi, saremmo già diventati qualcos'altro e avremmo superato e dimenticato il limbo che sono questi mesi di pantano (e forse tutto sarebbe talmente diverso - migliore o peggiore, chi può dirlo? - che non lo riconoscerei più).


Mi arrabbio per rapporti interrotti, legami rovinati. Non è stata colpa tua, ed è proprio perché so che è stata COLPA MIA che mi arrabbio ancora di più.


Mi arrabbio, e nella rabbia penso cose che probabilmente non sono vere (lo spero per te). E quindi probabilmente credi che mi strugga e voglia tornare con te, mentre lo sai, ti voglio bene e mi dispiace, ma mi è spiaciuto anche non sentirmi crollare il mondo addosso quando mi hai risposto "Sì, forse è meglio così". Suona troppo da stronza dire che è stato un sollievo? Non sono una stronza, non con te, ma è come un nodo nei miei capelli, se non riesco a scioglierlo lo taglio. Non fa bene, forse, ma è l'unica cosa da fare (erano i capelli che non dovevo annodare, piuttosto). E guarda, esci con tutte le ragazze che vuoi e guardati intorno fino a farti girare la testa (come ti dissi da sbronza: prima o poi tornano tutti, ma non è detto che li rivoglia - d'accordo, questa è da stronza, te lo concedo. Tu mi concedi un po' di stronzaggine come ricostituente per l'autostima?), ma almeno sii coerente e non fingere. Non è che mi faccia piacere, ma non sarà dicendomi una cosa e facendone un'altra (o dicendone ad altri un'altra?) che diventerai il mio migliore amico.


Non sto rinnegando la nostra storia. Per me è stata importante, lo so che è stato così anche per te, quindi per favore non fare in modo che debba ricordarmi di questi due anni della mia vita negativamente. Ti ho amato (ti ho salvato, ti ho portato il ghiaccio... ah no, questa è tutta un'altra cosa), mi hai amata, ora non è più così, per favore evitiamo di farci i dispetti. Per favore evitiamo di svilire tutto.


*


Ciò non toglie che un po' di sana rabbia, in questi casi, non possa fare altro che bene.


*


E no, sapete. Non ho "bisogno di un uomo" come si diceva scherzando stamattina. Ho bisogno solo di me stessa, la me stessa più forte che sbatte la testa anche cento volte, cade e si rialza. Ci sono mille cose che aspettano solo me per essere fatte.


*


J'ai quatorze balles à votre disposition. Allez chercher six des vos amis!


Come scrissi (tanto!) tempo fa: non voglio stare seduta in casa ad aspettare, voglio uscire a scoprire Persepolis! E, intanto, vivrò.