sabato 7 luglio 2012

Bentornata - 288 Days of Erasmus

Sono tornata. Una settimana fa mi sono svegliata nel mio letto di casa, nella mia stanza (che ora mi sembra particolarmente piccola e stipata di cose - libri, vestiti, cianfrusaglie), in Italia. Di nuovo in viaBacchelli2, di nuovo con i miei. A riprendere vecchie abitudini, a importarne altre, e pronta ed averne di nuove, perché no? Felice di rivedere i miei amici, plongée nei libri e nella mia stanza-tutta-per-me, almeno fino alla fine della sessione estiva (con qualche vocabolo in francese che appunto ogni tanto mi scappa, non quando parlo ma quando penso, e un po' di più quando ricordo).

Era il 14 settembre dell'anno scorso, era un mercoledì (ho ritrovato il biglietto del treno facendo le Grandi Pulizie Finali), e, inutile dirlo, a me sembra un'altra epoca. Dal 14 settembre al 29 giugno, sono 288 giorni di Erasmus, e a vederli da qui a me sembrano già tutti Perfect Days.

Nel mio posto vicino al finestrino, sfogliavo una rivista e mangiucchiavo un po' di pane alle olive comprato dal fornaio vicino a casa (e l'uva che mi aveva portato C.). Di fronte a me, un'italiana parlava francese al telefono, apparentemente senza sforzo (con tutti i putain al posto giusto), e io mi chiedevo come facesse.

Ho avuto pioggia, vento e sole, e persino un po' di neve. Freddo e ghiaccio e caldo (mi sono abbronzata in un pomeriggio al lago) e afa (l'ultimo, interminabile giorno). Ho nuotato nel lago. Città. Montagna. Vigneti.

Ho frequentato per un anno un'altra Università (altri corsi, altri prof, altri compagni, altre pause caffè, altri libri, altre biblioteche, altre facce, altri percorsi, altre aule), sto aspettando i risultati degli esami.

Sono andata all'Ufficio Immigrazione del Comune per avere un permesso di soggiorno. Mi sono abituata ad usare altri soldi, grandi, colorati, assurdi.

Orribile foto sfocata. Biglietti del treno, concerti (il Balélec, Austra), L'invidia-è-una-brutta-cosa, altro
Ho abitato da sola, benedicendolo e maledicendolo.

Soprattutto, ho incontrato tante persone nuove. Amici, vicini, compagni. Una potente cotta autunnale (come sono tutte le mie cotte potenti), un accompagnatore tanto per (e non ne vado fiera), e qualche flirt.
Cartoline da A.C.
La bellezza di suonare alla porta dall'altra parte del pianerottolo, o dei progetti di vita sana fatti divorando un pain au chocolat. O di chiacchierare per tre ore a un tavolino senza rendersi conto dell'ora. O di uscire agghindate, la ceca, la spagnola e l'italiana, ed essere consapevoli di essere ognuna bellissima, ognuna a modo nostro (no, non è vero, è tutta retorica, la bionda vince, come sempre). Parlare di roba-da-antichisti e intendersi subito. Ritrovarsi sempre nei soliti pub. Glander a bordo lago. Arrivare in uni in cinque minuti. Cucinare, e fare torte in due. Ballare con le amiche, e anche con gli sconosciuti. Osare. I piccoli riti quotidiani (il caffè delle 8h15 prima di greco, il mercoledì, la discofit con C. - e le chiacchiere interminabili, almeno fino a quando avevamo fiato - e poi incontrarsi in biblioteca, gli appuntamenti per il pranzo, i corsi di francese), i sosia. Le feste improvvisate al piano di sotto e quelle sul tetto, le risate inarrestabili, il gossip. Le gaffes con la pronuncia francese, i francofoni che ridono e nessun altro che se ne accorge. Gli stereotipi che ci si affibbia, troppo facili e troppo scontati, troppo belli da rovesciare.

E poi, beh, fare la spesa quando vuoi e di quel che vuoi (che si traduce in un frigo o pieno o desolatamente vuoto), fare il bucato quando vuoi, lavare quando vuoi. Rientrare senza troppi pensieri, perché non ci sarà una madre preoccupata se all'ultimo cambi idea e decidi di restare fuori più a lungo, o un padre che dorme sul divano. Rientrare sui mezzi o a piedi nelle strade deserte senza timori, per di più.

Il mio muro/bacheca
L'ultima serata in riva al lago, l'ultima mezza giornata tra saluti e pranzi.
E poi prepararsi, pulire, riordinare, l'ultima sera stranita a far vedere la città ai miei, mentre tutti o quasi indossano una maglia azzurra e tifano Italia (almeno non ero lì alla finale, i miei amici spagnoli mi avrebbero massacrato). E partire.

*

Non lo dimenticherò mai. Una lingua più o meno imparata, un posto che ho imparato ad amare, gente da tutto il mondo e qualche amicizia che spero resterà. La sicurezza che mi sembra di aver acquistato, certe cose che prima mi sembravano tanto importanti e ora non ci penso neanche più. Scoprire cose nuove, guadagnarsi il coraggio. Canzoni, momenti, sorrisi, ricordi, nomi, accenti stranieri.

E brindisi: santé à vous, io batto come sempre il bicchiere sul tavolo, e grazie per tutto.

Nessun commento:

Posta un commento