giovedì 31 maggio 2012

Perfect Day

E poi ci sono giorni perfetti e momenti perfetti.

E "honestly, my dear, I don't give a damn" del fatto che se una cosa è perfetta vuol dire che è finita (sì, grazie prof per avermi spiegato a sedici anni cosa vuol dire in realtà "amore perfetto", la mia vita sentimentale ne ha guadagnato). Perché certe sensazioni nessuno te le potrà mai togliere, sono destinate ad imprimersi dentro la tua iride, un bagliore di buonumore, un senso di "la cosa giusta al momento giusto" (qui per una colonna sonora e qui per le varie menate greciste sul "momento opportuno").

Ieri era l'ultima giornata di corsi. Del semestre, di Lausanne, della mia vita universitaria. E ho chiuso in bellezza.

Un espresso (sì, credeteci) alla cafèt, chiacchierando di Game of Thrones, degli esami, della vecchiaia ("c'est mon dernier jour de cours... POUR. TOUJOURS" "QUOI??!"). Connaissance pratique de la langue grecque con Madame "thème" R., e tutta la grammatica greca che so non saprò mai. E la versione passata, e bene (e meniamocela), e poi biblioteca con C., ed è quasi vacanza senza il seminario di storia del pomeriggio. E poi gli ultimi due corsi per davvero, quelli d'appuis con A. E leggiamo un papiro dell'archivio di Zenone e io lo conosco e mi viene da ridere a pensare a come per quel maledetto esame di Papirologia mi ero obbligata a non fare nient'altro e poi ero caduta miseramente sulla prima domanda. E poi A. decide che non vale la pena di fare anche grammatica, e ce ne stiamo seduti al sole, due assistenti e due studenti, a mangiare cioccolatini, ridere e chiacchierare e scherzare. E sono progetti e tesi e quanto-sono-pazzi-questi-greci e un papiro misterioso e tragico e romantico e ma-allora-Tacito-mentiva, e a-me-Nerone-è-sempre-stato-simpatico, e articoli e libri ed esami e paure e scogli da superare, e giochi da tavolo sull'Odissea, e Scrabble in greco ("ma valgono le forme non classiche?"), e i Giochi Olimpici che qui fanno (domenica) prendendosi quasi sul serio (sacrificio, tuniche fatte a mano, processioni, lotta, corsa). Forse in Italia non sarebbe mai successo (ma, in fondo, chi lo sa). Ma sono momenti come questi che mi fanno ricordare tutta la passione (sempre per il gioco delle etimologie, "ragazzi, passione non è sinonimo per amore, vuol dire sofferenza": quarta ginnasio) di chi si spacca gli occhi e la schiena e la testa su "cose inutili", e il divertimento, e la curiosità e l'interesse gratuiti. L'università dovrebbe sempre essere così.

Tornare a casa (in cinque minuti, anche questo mi mancherà), fare un tiramisù con M., cenare e uscire. È un po' bizzarro che mi stia trovando a legare con due Erasmus ora, ma in fondo, perché no? Ballare su pessima musica, con la lattina di birra ceca per il refill nascosta nella borsa-da-donna-di-classe, sentirsi bella e intelligente e quasi alla fine di un'epoca o di due. Rientrare a piedi alle cinque di mattina, perché "non ho voglia di aspettare per mezz'ora la metro", trovarsi un'ora dopo ai piedi delle scale di casa, col mondo intorno che si sveglia e il cielo chiaro (e gli sguardi a metà fra riprovazione e invidia di chi va già al lavoro). Fare i quattro piani gustando ogni gradino di indipendenza, e andare a dormire dopo la doccia e la colazione (ma solo per quattro ore: non vuoi mica sprecare il tuo tempo dormendo?!).

Maggio non mi ha tradito, ed è stato, credo, il più bello di sempre.

PS: il titolo del post mi è venuto in mente all'improvviso. E mi ha fatto venire in mente un'altra canzone che non riesco a trovare su youtube, ma che è la colonna sonora di questo film. Il che è strano, perché sono entrambe molto malinconiche, ma il post non lo è. PMS sempre con noi?


DIamo via all'ultimo mese. In grande stile.

venerdì 25 maggio 2012

Fragole, Strawberries, Fraises, Erdbeeren (and so on)

Quando ero piccola avevo un libro, regalatomi da non mi ricordo più chi, intitolato Sei piccole amiche. Il formato era grande, la copertina piuttosto stucchevole, come anche il concetto di fondo: sei amiche, bambine (ma di che età, di preciso? Otto anni? Dieci?), che vivevano da sole (!) in una grande casa lontano da tutto (vabbè, è letteratura, mica un libretto di istruzioni, non è che debba essere realistica per forza). C'era la studiosa/bacchettona, la vanitosa/vamposa, quella tanto buona e tanto cara (tipo Beth di Piccole Donne. Sì, quella che muore in Piccole Donne Crescono) e quindi tanto inutile (vedi parentesi precedente), la bambina pasticciona etc. Non era un romanzo vero e proprio, piuttosto una serie di racconti brevi vagamente edificanti (che poi a un certo punto arrivava prepotente anche l'elemento romance, con un tizio dotato di un cavallo e di qualche titolo nobiliare che si innamorava di una, e poi c'era un ballo, e l'ammore esplodeva, in modo piuttosto incongruo perché non si capiva bene quando le ottenni del libro fossero cresciute di almeno dieci anni per stornare il sospetto di pedofilia dall'autore). Insomma, non il mio libro preferito (a questo punto, meglio il buonista Piccole Donne originale, ovvio): quello che mi piaceva davvero erano certi disegni (soprattutto quelli della seconda parte: in una storia trovavano in soffitta dei vestiti vecchi e si mascheravano, e poi ovviamente c'erano i preparativi per il ballo, dove tutte diventavano extra glam. Disney al tempo mi aveva già rovinata, ebbenesì). Dunque, una certa facilità di trama e di struttura, bello da guardare, niente di più (oltre al fatto che dovrei ostracizzarlo per il solo fatto di essermi letta Dalla parte delle bambine in quinta elementare): e perché ne sto a parlare, e così a lungo?

Perché in una storia, e nemmeno una delle più belle, avevo letto che "Aspetta! Non mangiarle subito! Non lo sai che si esprime un desiderio prima di mangiare le prime fragole della stagione?", o qualcosa del genere.

Ieri sera c'era ancora festa sul campus. Caldo, sole, l'EPFL invasa da stand di nerd e geek e altro (scalare una parete da arrampicata con i mocassini e lanciarsi nel vuoto aggrappata a un filo, urlando in direzione di I. e salutando regale un fotografo per caso: fatto), una Carolus per salutare il déménagement di Zelig (mi mancherà, ma cosa lo dico a fare, che l'anno prossimo non sarò nemmeno più all'Anthropole?!), cibo da bancarella, zucchero filato, pop corn e kebab, avere l'impressione di conoscere un sacco di gente, musica a caso (Smoke "l'hanno registrata a Montreux"On The Water e Ke$a? Pink Floyd e Lady Gaga? Seriously?!) e proprio per questo divertirsi e ballare sul prato, prendere la mano del tipo che cerca inutilmente di farti fare una giravolta dietro l'altra (sei caruccio, ma io non sono capace di ballare! Mollami!), liberarsene (modalità Io ballo da sola, o meglio, con le mie amiche: on), tornare a piedi chiacchierando e strascicando i piedi, senza fretta, destabilizzando giovani ignegneri ubriachi ("Vedi? Ho il bastone, sono Gandalf!" "Pf, al massimo sei Gandalf il Grigio, certo non Gandalf il Bianco..." "...!!"), sfottendosi col solito Architetto ("Stasera non bevi, païenne?" "Ho già bevuto. E tu, che hai in mano? Una confezione di birra da sei? Non cambi mai, eh?!" - la sera prima, come sempre quando bevo, mi ero messa a parlargli delle deformazioni che comporta la cultura classica. Mica colpa mia se si era seduto vicino a me), con giusto il maglione leggero di cotone sulle spalle e quel bel vento che sembra spazzare vie le preoccupazioni.

Serata da estate insomma.

Stamattina (beh, mezzogiorno, non sottilizziamo) ho comprato un cestino minuscolo di fragole. Stasera ho mangiato la prima pensando a tutte le cose belle che potrebbero capitarmi ancora, a quelle che spero mi accadano, all'energia e all'impegno che voglio metterci per farle accadere.

Fragole in procinto di essere divorate. NB: dizionario di greco, un angolino di "Il trono di spade. Il Regno dei Lupi - La Regina dei Draghi" e de "Le Robert pratique" (no, non il Baratheon, il dizionario di francese che incombe sullo sfondo). Senza dimenticare la fida lampada ikea.


Buone fragole, e buoni desideri a voi.

*

Oggi, a qualcosa come seicentoventi km da qui, un'amica che non vedo spesso e che è sempre in giro per il mondo, ma che ogni tanto passa di qui, si è laureata. Ti auguro tutte le fragole del mondo, E. (vabbè, hai capito che voglio dire. E comunque è mostruoso che tu abbia già finito la specialistica, sappilo).

lunedì 21 maggio 2012

Aggiornamenti sparsi di una settimana dove è successo anche altro, ma faremo finta di no

Il Balélec, diciamolo per inciso ma almeno una volta, è stato cool. Mi sono persa il tipo indiessimo perché ero ancora in riva al lago a bere birra e inveire contro i miei polpacci e i jeans stretti che non riuscivo a tirar su più di qualche cm (ma il battesimo della bella stagione nel lago, saltellando poi a piedi nudi in giro, l'ho fatto comunque). Con una compagnia un po' strana (M., che è un po' la mia vicina/amica/compagna di cene/sorellina; le due ragazze italiane che ho conosciuto qualche tempo fa ("Oh, no, che imbarazzo, sono qui da sola, e non voglio assolutamente parlare ancora col francoamericano! Un momento, ma è italiano quello che sento? Presto, attacchiamo bottone con ste due tizie!"), e una sorella-di, che non avevo mai visto prima, e che è uscita dalla mia vita qualche ora dopo, stroncata da un cocktail troppo forte (o dalla pasta delle 5 del pomeriggio, anche questo è possibile) (comunque, ho avuto la riconferma che l'allenamento a reggere fronti e tirare indietro i capelli è una sorta di imprinting che ci si porta dietro dagli anni di formazione del liceo): insomma, non strana, neanche mal assortita forse, ma piuttosto bizzarramente combinata), compagnia che (ma quante e quanto lunghe parentesi faccio?!) si è rivoluzionata quasi completamente dopo mezzanotte, incontrando G. e T "sono un po' ubriaco" & S. (che noia questa abbreviazioni, manco fossimo in GG), i miei compagni di francese di quest'estate. Ho ascoltato un sacco di gruppi, i più diversi (e anzi, ce n'erano talmente tanti che ne ho ascoltati troppo pochi!), con una menzione speciale per quel gruppo folk/rock/balcanico che si mette a suonare Bella Ciao ("ouais, c'est une chanson italienne... c'est une chanson COMMUNISTE en effet" "QUOI?!") e per gli svizzerissimi Venetus Flos ("un momento, ma io questi li conosco! Hanno aperto il concerto degli Austra! E... ma sì, lì ci sono T&S!" - T: "è un peccato che li abbiano relegati in questo palchetto sfigato, poi qui sono tutti tranquilli... SCATENIAMOCI!" S: "mi facevano tenerezza, quindi gli ho chiesto un demo... ora ho un album tutto mio!" "Voi lo sapete, vero, che noi siamo tipo gli unici tre fan di questi tizi?"). E poi addirittura trovarsi a ballare su della musica electro tamarrissima, schivando i tipi più improbabili; bere birra a scadenze regolari, e mettersi a parlare dei massimi sistemi alle 4 del mattino, quando ormai tutto sta per finire, e incamminarsi verso casa stanche e contente (e poi guardarsi allo specchio e vedersi scarmigliate e sconvolte, e con l'occhio soddisfatto e lucido).

La mattina successiva, mentre mi tengo più o meno in piedi e aspetto la metro per andare ad accogliere le mie visitatrici in stazione, e mentre bevo pensierosa dalla mia bottiglietta (l'idratazione è tutto, come non mai nel day after), una signora simpatica mi dice "ah, sei andata al Balélec ieri, eh?!". E lei come fa a saperlo?!

Avere A. e R. qui mi ha però fatto capire una cosa. E cioè che è vero che è triste l'idea di doversene partire, di finire l'Erasmus, di tornare a vivere con i miei riprendendo la vecchia routine, eppure... eppure, è anche vero che tutto deve finire, per poter essere ricordato e amato. E poi, mi mancano un po' anche i miei amici (stranamente, quasi più ora che a Settembre): è bello anche stare con loro a passare serate magari non per forza speciali, ma che sono belle perché nostre. Fra le foto di R. c'è una sequenza bellissima di me e A. in varie pose vamp con degli occhiali assurdi; un'altra in cui tutte e tre cerchiamo di entrare nell'obiettivo, circondate dalla notte e dal lago ("Come puoi avere paura?! Si vede che non hai fatto l'Erasmus..."); in generale, sono foto che avremmo potuto fare ovunque. Non serve essere chissà dove, basta stare con qualcuno con cui condividere una torta preparata a mezzanotte e mangiata quando vuoi, con cui stare per ore su dei pouf sformati a leggere in silenzio, con solo un commento una volta ogni tanto, con cui preparare Spritz e bere "ogni volta che qualcuno chiama Jon Snow "bastardo", ogni volta che Hodor dice "Hodor", ogni volta che c'è una donna nuda o un'uccisione o una scena di sesso - bevi due volte se è incesto". Varrà la pena di tornare almeno per questo: vederci spesso, parlare di più, fare i nostri brindisi battendo il bicchiere sul tavolo.

E ovviamente, Game of Thrones, alias A Song of Fire and Ice. Quanto aveva ragione la saggia A. (non la A. di prima, un'altra A. Accidenti, ma Gossip Girl come fa? Nell'Upper East Side hanno tutti iniziali diverse?!) a parlarmene con occhi stellati in tempi non sospetti... e come sono mainstream io che mi ci sono avvicinata solo ora, che più o meno tutti sanno di che cosa si parla. Dopo aver letto il primo volume sul pc (un pdf di 784 pagine, tanto ormai gli occhiali li porto già), ora non vedo l'ora di finire questo post e accoccolarmi sul letto con il mio libro (portatomi amorevolmente - o forse non troppo: "Leggi! Che ho bisogno di qualcuno con cui condividere pareri e attesa!"); ah, l'amore per l'oggetto libro!. La realtà è che sono contenta di aver trovato una nuova ossessione, e anche qualcosa da aspettare. Qualcosa su cui fare congetture, qualcosa di totalmente inutile nel senso più nobile del termine: che è vero che posso fare congetture anche sul testo di Euripide, ma, e qui ti chiedo scusa, Wilamowitz, ma è così, NON È LA STESSA COSA (che poi anche il testo di Euripide possa essere inutile, su questo ci possiamo trovare d'accordo e discuterne, ma non qui, non ora, please).

Un'ultima nota stupidamente lirica, come piace a me.
Ieri sera sono rientrata a piedi da Cèdres (dopo una serata crepes e vino, quindi non è che mi abbia fatto proprio male). Da Bourdonnette in poi, ero sola, e a dire il vero è la prima volta che rientro di notte, a piedi, da sola. Eppure, mi sentivo totalmente sicura: è vero che ho fatto la maggior parte della strada nel campus, ma il campus è comunque un bosco. Silenzio, aria tiepida (ma non calda), cielo stellato, buio ma con luce sufficiente per non inciampare: ero così tranquillamente felice che me la sono pure presa comoda per rientrare. E poi, quasi all'improvviso, i fiori di biancospino, e il profumo di maggio. Certe cose apparentemente di poco conto ti restano dentro, e credo che questa sia una di quelle.



Summer is coming?

venerdì 11 maggio 2012

Premio Chiara Giovani 2012


A inizio Aprile sono tornata a casa per Pasqua. Ero già nel mio periodo di spleen (o meglio PMS, vedi intervento precedente), solo che non me ne rendevo conto. Camminavo veloce come piace a me nel sole del primo pomeriggio a Brera, contenta perché avevo trovato una cartolina perfetta da spedire a M., da poco entrata nel tunnel della moka. Passo davanti a una libreria dove non entro mai, non so perché mi fermo, e vedo dei volantini per un concorso letterario. Mi dico che è perfetto, e poi ho già la storia, e poi manca un mese alla scadenza, e poi ho proprio voglia di scrivere.

Incredibilmente, due giorni dopo sono già lì che butto giù un racconto al computer (pretendendo di fare cose per l'università).

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Ovviamente, tale racconto è rimasto un abbozzo, con passaggi da rivedere, parti da sistemare, frasi da migliorare ed espressioni da cancellare brutalmente. Altrettanto ovviamente, ho lasciato passare la scadenza (ieri), quasi senza curarmene. Non so se davvero per paura o autodifesa, come direbbe qualsiasi rubrica di psicologia spicciola sui giornali di gossip. Ho lasciato passare la scadenza, e amen, forse non è poi così grave, forse non è poi così importante, forse non cogliere le opportunità è solo un modo per avere più cose su cui rimuginare e su cui scrivere davvero. Comunque, dato che l'idea mi sembrava bella, vorrei riproporvela più o meno modificata qui (paradossalmente, senza il filtro di "omioddio della gente sconosciuta leggerà le mie cose", filtro che, se funzionasse sempre, dovrebbe pure impedirmi di avere un blog, no?)

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Dicono che gli amori nati in Erasmus durano per la vita.
Balle.

I rapporti nati in Erasmus durano per la vita. E per "rapporti" intendo di qualunque genere: coinquilinaggio, vicinaggio, amicizia, colleghitudine, e, perché no, amore. Penso che restino dentro, parte inscindibile da un'esperienza che normalmente cambia, segna, fa crescere. Se poi durante quei mesi si ha la fortuna di creare dei legami particolarmente forti, beh, sì, quelli resteranno tali per sempre.

Ma gli amori in Erasmus sono un mondo a sé. Che siano destinati a durare, o che siano solo infatuazioni di una sera, sono spensierati, senza paura, allegri.

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Ti ho incontrato a una festa, avevi l’aria di chi ha dormito poco ma non se ne cura. Abbiamo cominciato a parlare, come ti chiami, da dove vieni, cosa fai: le solite frasi banali, poi una scusa di qualunque per allontanarci dalla musica troppo forte, sfidiamo la notte umida per raccontarci cosa abbiamo in comune e cosa no. Quando i miei amici mi vengono a cercare, la tua sigaretta è finita da più di un’ora, e noi quasi non ci accorgiamo del freddo.

A. e M. abitano nello stesso palazzo, insieme ad altri studenti. Sono entrambi Erasmus, entrambi timidi, entrambi indecisi: si piacciono, forse no, forse non abbastanza.

G. e S. sono compagni di corso. Sono amici e qualcosa di più, ma è solo un gioco, perché è la prima volta fuori casa per entrambi e si sa che in Erasmus ci si diverte e basta.

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Ci scambiamo i numeri di cellulare, numeri nuovi, numeri “altri”, con un prefisso diverso da quello del nostro Paese; facciamo amicizia nella vita e su Facebook, qualcuno vi riversa foto di una nuova città, altri le facce dei compagni di avventura. Scriviamo in altre lingue, parliamo sempre un po' con le mani, superiamo i cliché, prendiamo nuove abitudini.

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G. e S. abitano uno a Nord e l’altra a Sud dell’Europa. Ormai il loro Erasmus è finito da un anno, e paradossalmente è loro la storia "a lieto fine", l'amore nato in Erasmus che dura (è un po' presto per dire tutta la vita, ma intanto dura).

A. e M. continuano a sentirsi, ma hanno interessi e ambizioni diverse: lui vuole diventare un avvocato nel suo Paese, lei, forse, tornare in quel posto freddo che le ha rubato il cuore, e che l’ha fatta innamorare davvero.

Io ti ho visto per l’ultima volta mesi fa, prima della tua partenza. Ti sei messo in testa che cambiare il mondo è possibile, e hai intenzione di cominciare dalla tua città. Io ho ancora tanti dubbi sul futuro, mi sento indecisa su tutto, non è mai stato facile per me dire "o bianco o nero". Ero triste perché sapevo che non ti avrei più rivisto. Non a causa della lontananza, o perché abbiamo deciso così: è nell’ordine naturale delle cose, un’infatuazione innocua che dura un paio di mesi e che si dimentica quando si torna a casa.

E non c'è niente di più stupido, stupido come l'orgoglio di non voler fare la prima mossa, di dirti "fatti sentire", "dammi tue notizie". Anche solo una mail ogni tanto, per dirmi che finalmente hai passato l’ultimo esame, per dirti che sto scrivendo la tesi. O che hai visto un film buffo, o che sono andata a un concerto che ti sarebbe piaciuto. Che ho letto il nome della tua città su un giornale e mi sei venuto in mente, che stai davvero cambiando il mondo. Che ci credi ancora, che ci credi sul serio. Che, dopo anni, capita che ci incontriamo di nuovo, e parliamo di quanto è stato bello e di quanto eravamo stupidi.

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Però, però (solo io posso pensare di scrivere un racconto per un concorso dal tema "Keep in touch" - ma perché in inglese, poi? - per dire che a volte è meglio non sentirsi). Perché una storia che non è destinata a durare, è molto più bello farla finire dopo un paio di mesi. Con tanto di ultimo abbraccio, e poi lacrime sul cuscino e L'ultima notte felice del mondo come colonna sonora. Ci dà l'illusione di aver perso la Grande Storia Speciale, quando in realtà era solo una piccola storia normale: ci fossimo conosciuti un po' meglio, ci sarebbero state altre mille cose che non andavano (non ti piacciono i romanzi, non conosco la geografia, e magari tu non ami le feste in maschera e io... sono pigra?) Chiamatela autodifesa e vigliaccheria, miei lettori che vi credete psicologi, io insisterò nel chiamarlo bovarismo.

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E in ogni caso, stasera (in realtà già fra poco) Balélec. C'è il sole, fa caldo, alle 19h suona un tipo sconosciuto che fa canzoni indiessime accompagnandosi con la chitarra, alle 17h30 si comincerà a grigliare e bere in riva al lago, ho dimenticato di fare il pisolino per resistere alla nottata. E domani A. e R. vengono a tenermi compagnia per il week end. Sinceramente, non ho bisogno d'altro.