venerdì 11 maggio 2012

Premio Chiara Giovani 2012


A inizio Aprile sono tornata a casa per Pasqua. Ero già nel mio periodo di spleen (o meglio PMS, vedi intervento precedente), solo che non me ne rendevo conto. Camminavo veloce come piace a me nel sole del primo pomeriggio a Brera, contenta perché avevo trovato una cartolina perfetta da spedire a M., da poco entrata nel tunnel della moka. Passo davanti a una libreria dove non entro mai, non so perché mi fermo, e vedo dei volantini per un concorso letterario. Mi dico che è perfetto, e poi ho già la storia, e poi manca un mese alla scadenza, e poi ho proprio voglia di scrivere.

Incredibilmente, due giorni dopo sono già lì che butto giù un racconto al computer (pretendendo di fare cose per l'università).

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Ovviamente, tale racconto è rimasto un abbozzo, con passaggi da rivedere, parti da sistemare, frasi da migliorare ed espressioni da cancellare brutalmente. Altrettanto ovviamente, ho lasciato passare la scadenza (ieri), quasi senza curarmene. Non so se davvero per paura o autodifesa, come direbbe qualsiasi rubrica di psicologia spicciola sui giornali di gossip. Ho lasciato passare la scadenza, e amen, forse non è poi così grave, forse non è poi così importante, forse non cogliere le opportunità è solo un modo per avere più cose su cui rimuginare e su cui scrivere davvero. Comunque, dato che l'idea mi sembrava bella, vorrei riproporvela più o meno modificata qui (paradossalmente, senza il filtro di "omioddio della gente sconosciuta leggerà le mie cose", filtro che, se funzionasse sempre, dovrebbe pure impedirmi di avere un blog, no?)

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Dicono che gli amori nati in Erasmus durano per la vita.
Balle.

I rapporti nati in Erasmus durano per la vita. E per "rapporti" intendo di qualunque genere: coinquilinaggio, vicinaggio, amicizia, colleghitudine, e, perché no, amore. Penso che restino dentro, parte inscindibile da un'esperienza che normalmente cambia, segna, fa crescere. Se poi durante quei mesi si ha la fortuna di creare dei legami particolarmente forti, beh, sì, quelli resteranno tali per sempre.

Ma gli amori in Erasmus sono un mondo a sé. Che siano destinati a durare, o che siano solo infatuazioni di una sera, sono spensierati, senza paura, allegri.

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Ti ho incontrato a una festa, avevi l’aria di chi ha dormito poco ma non se ne cura. Abbiamo cominciato a parlare, come ti chiami, da dove vieni, cosa fai: le solite frasi banali, poi una scusa di qualunque per allontanarci dalla musica troppo forte, sfidiamo la notte umida per raccontarci cosa abbiamo in comune e cosa no. Quando i miei amici mi vengono a cercare, la tua sigaretta è finita da più di un’ora, e noi quasi non ci accorgiamo del freddo.

A. e M. abitano nello stesso palazzo, insieme ad altri studenti. Sono entrambi Erasmus, entrambi timidi, entrambi indecisi: si piacciono, forse no, forse non abbastanza.

G. e S. sono compagni di corso. Sono amici e qualcosa di più, ma è solo un gioco, perché è la prima volta fuori casa per entrambi e si sa che in Erasmus ci si diverte e basta.

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Ci scambiamo i numeri di cellulare, numeri nuovi, numeri “altri”, con un prefisso diverso da quello del nostro Paese; facciamo amicizia nella vita e su Facebook, qualcuno vi riversa foto di una nuova città, altri le facce dei compagni di avventura. Scriviamo in altre lingue, parliamo sempre un po' con le mani, superiamo i cliché, prendiamo nuove abitudini.

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G. e S. abitano uno a Nord e l’altra a Sud dell’Europa. Ormai il loro Erasmus è finito da un anno, e paradossalmente è loro la storia "a lieto fine", l'amore nato in Erasmus che dura (è un po' presto per dire tutta la vita, ma intanto dura).

A. e M. continuano a sentirsi, ma hanno interessi e ambizioni diverse: lui vuole diventare un avvocato nel suo Paese, lei, forse, tornare in quel posto freddo che le ha rubato il cuore, e che l’ha fatta innamorare davvero.

Io ti ho visto per l’ultima volta mesi fa, prima della tua partenza. Ti sei messo in testa che cambiare il mondo è possibile, e hai intenzione di cominciare dalla tua città. Io ho ancora tanti dubbi sul futuro, mi sento indecisa su tutto, non è mai stato facile per me dire "o bianco o nero". Ero triste perché sapevo che non ti avrei più rivisto. Non a causa della lontananza, o perché abbiamo deciso così: è nell’ordine naturale delle cose, un’infatuazione innocua che dura un paio di mesi e che si dimentica quando si torna a casa.

E non c'è niente di più stupido, stupido come l'orgoglio di non voler fare la prima mossa, di dirti "fatti sentire", "dammi tue notizie". Anche solo una mail ogni tanto, per dirmi che finalmente hai passato l’ultimo esame, per dirti che sto scrivendo la tesi. O che hai visto un film buffo, o che sono andata a un concerto che ti sarebbe piaciuto. Che ho letto il nome della tua città su un giornale e mi sei venuto in mente, che stai davvero cambiando il mondo. Che ci credi ancora, che ci credi sul serio. Che, dopo anni, capita che ci incontriamo di nuovo, e parliamo di quanto è stato bello e di quanto eravamo stupidi.

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Però, però (solo io posso pensare di scrivere un racconto per un concorso dal tema "Keep in touch" - ma perché in inglese, poi? - per dire che a volte è meglio non sentirsi). Perché una storia che non è destinata a durare, è molto più bello farla finire dopo un paio di mesi. Con tanto di ultimo abbraccio, e poi lacrime sul cuscino e L'ultima notte felice del mondo come colonna sonora. Ci dà l'illusione di aver perso la Grande Storia Speciale, quando in realtà era solo una piccola storia normale: ci fossimo conosciuti un po' meglio, ci sarebbero state altre mille cose che non andavano (non ti piacciono i romanzi, non conosco la geografia, e magari tu non ami le feste in maschera e io... sono pigra?) Chiamatela autodifesa e vigliaccheria, miei lettori che vi credete psicologi, io insisterò nel chiamarlo bovarismo.

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E in ogni caso, stasera (in realtà già fra poco) Balélec. C'è il sole, fa caldo, alle 19h suona un tipo sconosciuto che fa canzoni indiessime accompagnandosi con la chitarra, alle 17h30 si comincerà a grigliare e bere in riva al lago, ho dimenticato di fare il pisolino per resistere alla nottata. E domani A. e R. vengono a tenermi compagnia per il week end. Sinceramente, non ho bisogno d'altro.

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