lunedì 30 aprile 2012

PMS

Diciamolo: Aprile è stato un mese un po' così.
Il che è strano, perché io amo Aprile: mi piace il cambio di stagione, la primavera, le prime fragole, la Pasqua e il cioccolato e la colomba e la pastiera napoletana, le giornate più lunghe, la luce, anche il rimescolamento ormonale. È l'Aprile di Album d'Aprile di Paolini, del a me della politica piacevano gli ideali e le liturgie. Degli ideali non si parla, si rovinano, se ne parli li rovini. Le liturgie che interessavano erano quella roba che si addensava tra il 25 aprile e il 1° maggio, l’ultima occasione di far la rivoluzione e di trovarsi la morosa prima dell’estate, ma in senso inverso d’importanza (seguito a ruota da quel "Norma! Vieni alla festa del Primo Maggio?" "Va bene!" "...!" "Quand'è?")

E questo Aprile, che pure era cominciato bene con il senso di soddisfazione della mattina dopo (tutta quella forza dell'ultimo post: prendere una decisione e scoprire che in realtà non era facile, ma facilissima, dato quanto bene mi sentivo dopo; ritornare a fare a meno degli sporadici accompagnatori tanto per, perché effettivamente si sta meglio senza; crogiolarmi nella mia primavera elvetica), questo Aprile, che mi regalava una settimana a casa a farmi coccolare, e poi di nuovo qui, felice e indipendente nel mio studiò... beh, semplicemente non è andato così bene (it didn't live up to expectations; come si legge sulle confezioni al supermercato, l'immagine ha il solo scopo di presentare il prodotto e non corrisponde alla realtà).

Malavoglia, cattivo umore, un po' di crisi. Per tante cose: il vedere ahimè troppo vicina la fine di questo Erasmus che mi ha sorpreso oltre le aspettative (il fatto di sentirmi una studentessa quasi indigena, non una straniera qualunque che passa e va; una città spesso assurda ma che ho imparato ad amare senza rendermene conto; sentirsi esotica e speciale con il mio accento incancellabile, i miei maledetti eppur buffi errori, e il mio nome che suscita stupore, mentre in patria è la summa del banale; e poi, ça va sans dire, vivere da sola, non per tirarsi in casa chi si vuole, passare le nottate fuori o nutrirsi solo di budino, ma per sapere che, volendo, lo si potrebbe fare), la mia paura della "vita vera" da affrontare al ritorno (esami che non ho voglia di preparare, tesi che mi piace chiamare "work in progress" ma che in realtà è solo un brutto titolo provvisorio su un foglio altrimenti bianco di word, e poi, l'incognita del futuro un po' più in là che prossimo); sempre, quello stringimento al cuore nell'entrare a casa (casa-Italia) e vedere il pianoforte chiuso, e sapere che un tempo lo suonavi apparentemente senza sforzo (peggio, molto peggio, della malinconia nel ricordare che, sì, c'era un tempo in cui facevo una spaccata perfetta, e la ruota sulla trave alta); e poi, per la prima volta da tanto, tanto tempo (da sempre?) il chiedersi "ma ho fatto la scelta giusta?". Mi piace quello che studio, riesco bene, ma... e se avessi fatto altro? Sarei più sicura, più "socialmente accettabile?" se avessi fatto biologia, o medicina (!), o cos'altro?

Sentirsi brutta e stupida senza neanche troppe ragioni, insomma; la classica sindrome premestruale, che però si era trasformata nella sua inquietante versione geneticamente modificata resto con te anche durante e post.

Infine, ritrovarmi ad ammettere prima a me stessa, e poi ad alta voce (e dio mio, quanto suonava stupido ad alta voce) che quando avevo dieci anni pensavo che avrei fatto chissà che cosa. No, non che mi immaginassi sposata e con prole a ventitré anni (già da piccola, collocavo la mia vita adulta in un futuro moooolto nebuloso, e avevo ambizioni molto più da figlia di figlia del 68), ma sicuramente mi vedevo fare, pensare e immaginare... grandi cose (non meglio definite). E va bene, nella fattispecie, pensavo che sarei stata una scrittrice. Non ci ho mai neppure pensato tanto, perché era certo che sarei stata una scrittrice, e una delle migliori. Non per niente riempivo anche io le agende come Prisca, no?

E invece, eccomi qui, ventitré anni, ostinatamente piatta (e sì, intendo di seno; ma devo ammettere che col tempo ho imparato ad apprezzarne i vantaggi - tanto non mi riprenderò mai più dal trauma di vedere le mie amiche delle medie che si compravano reggiseni e guardavano i Pokémon, mentre io mi davo ai classici della letteratura chiedendomi quando mi sarebbero finalmente cresciute le tette), ostinatamente logorroica di pensieri (e di parentesi, oggi particolarmente), e altrettanto ostinatamente priva di brillanti trovate o idee geniali (quindi, i pensieri sono tutti ostinatamente fuffa) (c'è un verbo francese per questo, mi dicono: gamberger). Riesco piuttosto bene nello studio, ma non sono un genio; non so cosa voglio fare, non sono particolarmente brava in qualcosa (tutti hanno un'abilità, una passione speciale, che li contraddistingue. Io pensavo che la mia si sarebbe palesata prima o poi, e invece niente).

Forse non è nemmeno colpa di questo Aprile: è qualcosa che rimonta ad almeno un anno fa. Dopo l'esaltazione della tesi triennale, del sentirsi adulta e, scusatemi, ma è vero, assolutamente FIGA con le mie idee geniali e la mia sfacciata originalità in un Dipartimento dove tutto è già stato detto, mi sono ritrovata a realizzare che in realtà non ero così speciale (cala cala Merlino!), che avevo tradito le mie aspettative d'infante, et caetera (vedere qui per trovarci, en passant, una domanda che ha effettivamente scatenato la crisi. Eh, lo so che è di un sacco di tempo fa. Beh, il ragazzotroppotimido sarebbe contento di saperlo). E stupidamente, mollando piano, mi sono sentita perdere quel "qualcosa in più": non che fossi eccezionale, ma evidentemente mi faceva sentire importante. Che stupida mente pomposa che ho (a questo proposito, è buffo come io oscilli pericolosamente e senza mezze misure dal sottostimarmi - della serie sì, colpiscimi, faccio schifo, me lo merito - all'autoesaltazione totale).

Fa seguito, a tutto questo, La Malavoglia. L'idea platonica di malavoglia, tanto per dire. Non so come sia riuscita a preparare il seminario per oggi, che infatti ha lasciato perplesso ben più di un uditore, la sottoscritta in primis (che mi ero pure scritta un discorso, e leggendo pensavo: ma che sto dicendo??!) (anzi, no, lo so come ho fatto: negli ultimi dieci giorni, ho ripreso ad avere un po' più di energia. E di confiance en moi, forse? Beh, ho riscritto sul blog dopo un mese, qualcosa vorrà pur dire).

Fra l'altro, causa amiche paranoiche che googlano cose apparentemente a caso ma che in realtà sono spiegabili con l'essere (stati, ahimè) sedicenni (anzi, forse no, a volte invecchiare fa bene), mi sono imbattuta in quello che era il forum del mio liceo. Perché il mio liceo avesse un forum sarebbe anche un'altra storia, ma comunque: dio mio, l'adolescenza. C'era un periodo della mia vita in cui scrivevo con le k e abbreviavo un sacco (ma perché, poi? Perché lo facevano tutti? Ah, il conformismo!). Ed ero veramente insopportabile. E patetica. E totalmente insicura di me (sì, più di quanto lo sia ora). Comunque, questo non mi ha impedito di spendere ore a rileggere vecchi post che ora suonano ridicoli. Come eravamo ggiovani, davvero. È commovente vedere come certe cose siano restate (la vodka alla fragola, per esempio, di cui una certa psyche e una certa delphine parlavano in seguito a una festa), e altre, beh, altre siano solo dei bei ricordi (perché poi colui che "saremo amici per sempre! Questo non cambierà mai!" ti ignori, ma pare sia diventato il fratello d'elezione del tuo ex - ma mica c'è stato un momento in cui si odiavano?! - questo è veramente un mistero. Freud, abbiamo bisogno di te, ma ti prego non dirmi che c'entra il sesso).

Bref, ho scritto la mia solita spatafiata di pare mentali, e ora sono pronta a lasciarmi tutti i momenti blu (o anche solo azzurrini) alle spalle, insieme con Aprile. Perché per affrontare Maggio, ci vuole coraggio.


PS: grazie per il titolo. In un momento di scoglionaggine maxima, ridere della PMS, anche se solo via skype, ma insieme, è stato meglio di un abbraccio (cuoricino, e tag di frEIndship, a questo punto).

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