venerdì 10 giugno 2011

E il peccato fu creder speciale una storia normale

Disclaimer: intervento random (leggi: disconnesso).

Forse invecchiare vuol dire questo, dar ragione al Guccio anziché compiacersi malinconicamente di storpiarne un verso per dire che il vero peccato fu creder normale una storia speciale.

Strano (e triste) pensare che dopo tutto quanto, l'unica cosa che resta è  f a s t i d i o. E anche un po' di noia (oltre alla sgradevole sensazione di aver buttato via almeno un anno. Ripeti con me: iocredonelkarmaiocredonelkarma). Indifferenza work-in-progress.

*

Ma a parte queste meschinità, ho finalmente ripescato un articolo che risale nientemeno che al 22 marzo 2008. Un'eternità fa, pare (è). Era un sabato, e io stavo come al solito sfogliando negligentemente D di Repubblica (ai tempi, leggevo di fisso Zucconi/Concita, e stropicciavo il resto). E poi sono stata folgorata da due pagine scritte nero su giallo brillante (una cosa oculisticamente da denuncia) da una mia omonima, di poco più grande di me, che scriveva frasi che mi porto dietro da più di tre anni, senza nemmeno sapere bene di chi fossero e come fossero quelle parole che mi avevano fatto dire: questa sono io.

"Perché si dice addio. La paura dell'abbandono fa fare cose assurde. Come mettere fine a una storia, anche quando è quella giusta". Cosa che a me, francamente, non è mai capitata (non mi era di certo mai capitata allora; oggi, potrei dire che ci sono andata vicino in modo malato, ma non divaghiamo).

Ma mi sono capitate certe sensazioni, e certe emozioni che da allora ho pensato grazie a quelle parole.

Ti ho conosciuto in una pizzeria, a una cena universitaria. Stavi seduto accanto a una ragazza, lei era di Latina, ma sosteneva che sua nonna era regina d'Etiopia, tu la guardavi perplesso. Ho preso posto accanto a te, ho pensato: sei tu. Un giorno quando racconterai ad altri il nostro inizio dirai che stavi parlando con una principessa ed è venuta a infastidirti una "zanzarina", io ti dirò zanzarina a chi?, ma nei tuoi diminutivi sentirò il sollievo di non dover essere grande.

Sai?, mi sembra che certe piazze e certe strade le abbiamo viste solo noi, non le ho più trovate.

Abbiamo smesso di camuffare i nostri difetti.

Ma forse un gesto è solo un gesto e una frase è come tante, è chi se la sente a caricarla di significato, cerco di convincermi ogni volta che un ragazzo mi fa una carezza,  l e   m a n i   s o n o   m a n i,   l e   t u e,   l e   s u e,   q u e l l e   d i   u n   a l t r o,   c h e   d i f f e r e n z a   f a?

Ti ho amato per queste accortezze, per le sciocchezze che mi venivano concesse, perché non volevo essere saggia, volevo essere stronza e ragazzina.

M i   c o m p o r t o   c o m e   s e   p o t e s s i   i n c o n t r a r t i   o v u n q u e: a una mostra, una presentazione, in qualunque luogo pubblico mi trovi, tengo fisso lo sguardo sulla porta, aspettando di vederti entrare, cerco di farmi trovare sorridente e in buona compagnia, tra persone di successo e se qualcuno mi parla sottovoce e si fa audace, penso: se solo entrassi adesso, adesso, in questo momento, sarebbe un quadro perfetto. Da quando ti ho lasciato, ogni mio momento è recitato come se tu dovessi assistere.

"Tanto tu sei forte, sei saggia", sì, io sono forte, sono saggia, "tu non ce l'hai il cuore come tutti gli altri", già, io non ce l'ho il cuore come tutti gli altri, perché io ne ho uno solo di cuore, gli altri ne hanno almeno uno per ogni occasione.

*

E dopo più di quattro anni, però, ho deciso che dopo aver scritto l'ultima pagina posso mettere via il quadernino giallo. E lasciar perdere le pare sentimentalromantiche e i rapporti psicoamorosi. Cresco e cerco casa, anche se solo provvisoria, anche se è solo una camera. Piccola, per lasciar fuori le cose inutili, grande a sufficienza per portarmi dietro quel che mi serve (che, come dissi tempo fa a un pauroso, non è molto: delle amicizie, rimangono quelle che ne valgono la pena, e allora meglio alleggerirsi delle altre).

*

Ridere inventando soprannomi assurdi di personalità fastidiose sedute al tuo stesso tavolo, e scambiare sguardi di sottecchi e commenti caustici. Per voi ci sarà sempre posto, in ogni mia camera di ogni paese di ogni mondo, in ogni anno e in ogni tempo (*sigh).

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