giovedì 26 settembre 2013

Storie di formazione. La mia prima migliore amica, parte 2 (divagazione)

A dirla così suona brutto e antipatico, tipo che io ero la snob radical chic con aspirazioni nerd che faceva il classico, e lei una deficiente solo perché aveva le tette e si metteva i vestiti attillati. Non è così, ovviamente. D. è sempre stata una persona molto dolce e molto insicura, con la tendenza ad omologarsi un po' a chi le stava intorno (come facciamo tutti, inutile negarlo). Forse se a 14 o 15 anni si fosse trovata circondata dalle stesse persone che frequentavo io, in un ambiente meno attento allo smalto che mettevi (ma molto di più alla musica che ascoltavi e alle idee che avevi - ecco, sto ricascando nel gioco della radical chic), forse ora avrebbe pensieri e abitudini diverse; di certo avrebbe un'altra storia alle spalle, e, forse, altre priorità. O forse no; d'altra parte non c'è motivo per credere che essere follemente innamorata di Legolas a 15 anni sia meglio che scegliere vestiti carini a poco prezzo e uscire con un ragazzo in carne ed ossa (o meglio, io lo credo, ma sono ovviamente di parte). E non è neppure vero che le grandi differenze spuntarono fuori solo alle superiori: mi ricordo che alle medie facevamo lunghissimi discorsi su tutto, e ovviamente anche sul matrimonio, se ci saremmo sposate o meno, con chi (!), e, cosa più importante, come sarebbe stato il nostro vestito. Dopo ore di tulle e sbuffi meringosi, di seta lucida e di avorio (D. e V. sembravano non riuscire a fermarsi), io avevo talebanamente sostenuto che se mai mi fossi sposata l'avrei fatto in jeans (bianchi, ché la tradizione è importante), e in comune. Insomma, già si vedeva che io ambivo a una vita da zitella con tanti gatti, mentre lei, loro, erano più per l'adolescenza da telefilm americano, con la degna conclusione di un matrimonio sontuoso. Altro esempio: alla nostra prof di italiano delle medie (che ho sempre amato, ricambiata, e amo tuttora) piaceva darci temi di fantasia. Uno di questi ci diceva di immaginare la nostra vita 15 anni dopo, o una cosa del genere. D. si vedeva fidanzata e con dei gatti, V. fidanzata con M.G. (il grande amore dei nostri anni verdi, e con verdi mi riferisco al colore del grembiule della classe della scuola materna), che avrebbe fatto il pilota di Formula1. E io? Io ero sola, mentre le mie amiche si sposavano, squattrinata (ma non vivevo più dai miei), e per mantenermi facevo la commessa, anche se poi decidevo di portare i miei misteriosi manoscritti (sottinteso: del grande romanzo del secolo) a un editore (sottinteso: che li avrebbe amati e pubblicati ed io entro breve sarei stata ricca e famosa).

Insomma, che ero una calvinista l'avete capito, andiamo avanti. Ci siamo perse di vista, come spesso accade, abbiamo diradato (direi fisiologicamente) le uscite. La cosa bella però è che non abbiamo mai perso del tutto i contatti, ci sentivamo, raramente ma ci sentivamo, e parlavamo ancora, anche se forse più superficialmente di prima. Poi, verso la fine delle superiori, un po' perché gli anni mi avevano regalato la frivolezza, un po' perché lei si stava allontanando da influenze nefaste, ricominciammo, lentamente, a riallacciare i rapporti, fino a vederci con frequenza settimanale o quasi negli ultimi anni di università. Non saremmo mai più state migliori amiche, ma non ne facevamo un dramma. L'amicizia è anche questo, sapere quando una persona diventa ormai troppo diversa da te, ma volerle bene comunque, rispettando le sue scelte.

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