giovedì 23 febbraio 2012

Carnival stuff, prima parte

Nota: voglio assolutamente pubblicare questo post prima di tornare a casa per il (lungo) week end (rimpatriata causa forze maggiori e familiari, ma da lunedì sera di nuovo felicemente chez moi, per fortuna), ergo ora (sono riuscita a lavare ma non a stirare, a salutare M. ma non ancora M. - questa faccenda delle iniziali è problematica), ergo accontentatevi del centone creato negli ultimi cinque giorni (e con i postumi del Carnevale di Bellinzona), senza pretendere troppa originalità o wit.

Prometto che cercherò veramente di scrivere una seconda parte per dare senso al tutto.

Ammettiamolo: i rapporti tra italiani e ticinesi non sono dei migliori.
Oltre i cliché e le verità che nascondono, io sono sempre stata un po' prevenuta. Perché per noi italiani i ticinesi sono una brutta copia (sono come noi, ma gli tocca fare i minoritari in quello stato/banca che è la Svizzera), e per i ticinesi, noi siamo i peggio tamarri al mondo (non solo per i ticinesi, ma vabbè).

E invece quest'estate mi sono trovata a fare amicizia con delle ticinesi doc, in autunno ad entrare a far parte della STOICA sobillata da C. (che mi magnificava un programma di feste per lo più alcoliche e cene sociali), e ora... sono reduce dal Carnevale di Bellinzona. Spinta ancora una volta da C. sulla via della perdizione (nonostante si contraddica: a volte mi raccomanda "Non dire che sei italiana, mi raccomando", altre insiste che "Ho radici italiane pure io! Italianissime, anzi, terrone!"), già a fine Novembre risultavo iscritta all'evento Rabadan 2012: giovedì sono partita per Lugano, e sono tornata sabato sera, dopo due serate (e non solo) decisamente impegnative dal punto di vista termico-fisico-epatico.

Carnevale non è mai stata una festa che mi andava molto a genio: capiamoci, adoro le frittelle e le chiacchiere (così come adoro la tradizione frittelle all day inaugurata dalla nonna), mi piace mascherarmi (l'esperienza mi ha insegnato a diffidare di chi non ama le feste in maschera, cit. me stessa) e da bambina adoravo pensare a un costume diverso ogni anno (ehm... da bambina?); ma detestavo, e detesto, l'eccessiva confusione, la schiuma a rovinare i vestiti ideati, assemblati e cuciti (dalla Madre) con tanto amore. E poi non c'è effettivamente molto da fare: d'accordo, feste in maschera, private o semi, per una sera, e poi tutti a casa.

Mi divertiva pensare alla storiella per cui i Milanesi avevano deciso di prolungare/posticipare il Carnevale di una settimana, per aspettare il vescovo (S.) Ambrogio, finito a Roma per i cavoli suoi (o del Papa, non ricordo). Ma in Ticino, lo ammetto, they do it better (almeno il Carnevale).

Tradizioni, guggen, cortei, bambini che si divertono, vari carnevali sparsi in giro per il Cantone, musica, alcol (ovviamente), e tutti, tutti in maschera. E poi il Grande Carnevale di Bellinzona, che raduna un po' tutto.

C. me l'aveva magnificato per mesi, e non mentiva. Abbiamo indossato i nostri costumi, ci siamo truccate nei modi più improbabili ("Io non mi so truccare!" "Neanche io, per fortuna è Carnevale!"), e con tanto di occhiali da sole tamarri e codazzo di amici, abbiamo bevuto ("Non avrei creduto che la tua amica italiana reggesse tanto" - e siamo a due) e ballato e ci siamo spintonati nella folla (benché non ami la folla), evitando i laidi horny e commentando i costumi altrui.

Insomma, mi sono divertita come non mi succedeva da un sacco.

E ora mi tocca davvero andare.

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