lunedì 13 dicembre 2010

La sindrome di Enea

(quis fallere possit amantem?)
Verg., Aen., IV, 296

Pare che ad ogni esame di latino, o quasi, mi tocchi tradurre qualcosa di Virgilio: il sesto dell'Eneide, il quarto delle Georgiche, e ora il secondo ed il quarto ancora dell'Eneide. C'è da dire che ogni volta c'è almeno un verso per cui ne valga la pena: una delle mie trovate migliori per un costume di Carnevale lo devo alla descrizione virgiliana di un personaggio infernale (...et Discordia demens/ vipereum crinem vittis innexta cruentis); l'elenco alla lunga noioso (e assurdamente disgustoso!) per diventare un perfetto apicoltore venne ricompensato dal mito struggente di Orfeo e Euridice (e chi se ne importa se fu o non fu il prototipo di "delitto perfetto", come sostiene Lella Costa, se ti regala un verso come invalidasque tibi tendens, eheu non tua, palmas?); quest'anno, finalmente, mi è toccato anche il quarto libro, incentrato sull'amore (ovviamente non a lieto fine) tra Enea, quello che teoricamente dovrebbe essere il protagonista, e Didone, la bellissima regina fenicia, vedova inconsolabile (si fa per dire) che ovviamente non riesce a resistere al fascino del figlio di Afrodite. In cambio di una manciata di illusione si troverà (sedotta e) abbandonata; disperata, non le resta che il suicidio. Ma prima si lancia in una lunga maledizione, terrificante e spaventosa. C'è tutto lì: l'amore tradito, la disillusione, la rabbia, il rimpianto, e l'affetto che, avvelenatosi, si trasforma inesorabilmente in odio. L'ho letta per la prima volta al ginnasio (già intuendo, giovane e ingenua, i vantaggi di un'educazione classica: "Vuoi mettere, uno ti lascia e tu gli urli dietro: Sole, che con le tue fiamme tutte l'opere illumini / della terra, e tu artefice e complice di queste pene, Giunone, / Ecate, che per trivii e città notturno l'ululo evoca, Dire vendicatrici, dèi d'Elissa che muore, etc."), ora mi mancano ancora un 200 versi per tradurla finalmente a modo mio (niente di personale, Rosa Calzecchi Onesti, ma d'altra parte penso tu possa capirne la soddisfazione).

Comunque, già a 15 anni mi era chiaro che Enea era un idiota.
Prima si perde la moglie Creusa per strada, e non se ne accorge neppure (ma già, lui è così pius e pirla che prende il padre in spalletta, il figlio piccolo per mano e poi dice "segua i miei passi, da lontano, la moglie"), salvo poi disperarsi alla follia (non si capisce bene perché, in fondo non è che sembra gliene importasse molto) ed essere consolato dal fantasma della moglie stessa (anche tu, però, Creusa! Lo abitui male, poi non è che puoi lamentarti), che gli annuncia grandi cose, fra cui un'altra moglie. Ma insomma, il cadavere della prima è probabilmente ancora caldo, non può già pensare alla prossima!

Poi, si arriva al quarto libro. Didone è... Didone è l'eroina tragica perfetta, secondo me. Bella, bellissima, intelligente e infelice. Mi piace come riesce a convincere Iarba a farsi concedere un po' di terra: tanta terra quanta ne copre il mio mantello... Non gli spiega prima, però, che il mantello lo disfa, e con un lunghissimo filo riuscirà a circondare terreno sufficiente per costruirci una città (e che città: la mia amata Cartagine). Nonostante sia stato gabbato in maniera così palese, Iarba la sposerebbe comunque, ma lei rifiuta: è ancora innamorata del marito, barbaramente assassinato dal fratello di lei. Poi arriva Enea, e pensa che le sia stato concesso di amare ancora. Certo, l'eroe troiano ha fascino, e, in più, può contare su tutti i trucchi di seduzione messi a disposizione da mamma Afrodite: Didone è giovane, lo ammira, si innamora, si fida, lo ama e, anche se non sono sposati "lo chiama marito". Il freddo Virgilio ne sembra scandalizzato, a noi invece riesce facile immaginarcela, persa dietro "lo Straniero", incurante della gente che mormora, delle malelingue velenose, mentre vive i momenti più belli e inebrianti della sua breve storia d'amore.

Infatti Enea, al primo fischio da parte dell'annoiato Giove, è pronto a partire per l'Italia, senza essere nemmeno sfiorato dal dolore di dover lasciare quella che, insomma, è un po' più di una con cui è andato a letto qualche volta. Invece tutto quello che lo preoccupa è "come dirglielo", e dopo averci ben pensato (!), idea geniale!, si prepara a fuggir... ehm, partire in fretta e furia, e senza dire niente a nessuno. Didone, che è donna, intelligente e innamorata (quis fallere possit amantem?), lo scopre subito.

Ora, mi spiace per tutti voi che state leggendo e che ho annoiato con cose che sapete già, ma era una premessa necessaria per porre le seguenti domande e lasciarmi trascinare nella mia invettiva contra Aeneam.

Ma brutto deficiente. Ma chi ti credi di essere? Come ti  p e r m e t t i  di fare il cretino, ferire così i sentimenti di una donna che meritava tanto più di te? No, bravo, proprio bravi, te e Odisseo, i grandi scopatori del Mediterraneo, mi fate schifo.

E il fatto è che non ha nemmeno il coraggio di dirle: guarda, mi spiace, non facevo sul serio. Devo andare, comunque è stato bello, grazie, ciao. Oppure di buttarla sul melodrammatico: chessò, ti amo e ti amerò sempre, me ne vado contro la mia volontà, etc. E invece no, le dice che, se proprio stesse a lui decidere, lui, povero ciucciolo, si sarebbe messo a ricostruire Troia, pius e pirla, e avrebbe pianto con amore e dolore i suoi cari. Neanche una lacrimuccia per la povera Didone. E poi una non si dovrebbe arrabbiare.

Neanche a dirlo, Didone si uccide, pazza di rabbia e dolore, e Enea raggiunge bel bello l'Italia. Eh sì, l'Italia, avete capito bene. Poi una si fa domande sul maschio latino, ma è la  m i t o l o g i a, mie care, che spiega tutto.

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