giovedì 29 settembre 2011

Peccare di hybris

First, you'll love it. Then, you'll hate it. Finally, you'll love it again. Almeno a quanto aveva detto il Rettore (no, non era il Rettore. Responsabile della Facoltà di Lettere? Qualcosa del genere) il primo giorno. Come ben dice la Vale, io oscillo continuamente tra bianco e nero, esaltazione e disperazione, love & hate.

Questa settimana, con l'inizio dei corsi, è stata una successione di (già buffe) disavventure. E non è ancora terminata.

Non avevo fatto in tempo a dire quanto mi piace qui, quanto sono figa a capire tutto, quanto noi italians do it better, figurati se non riesco a seguire i corsi degli stupidisvizzeri. Mi stavo ancora crogiolando nei "come sei brava", "come sei coraggiosa" e, soprattutto, nei dolcissimamente menzogneri "Mais non! Tu parles très bien le français!". Non sono figa, non sono brava, non parlo très bien français, insomma, non sono coraggiosa. Piuttosto, sono incosciente.

Perché solo un'incosciente avrebbe preso la stupidissima decisione di farsi un anno via da casa a frequentare l'università in una lingua che non conosce. E in Svizzera, per di più. Persino l'uomo più pacifico del mondo, mio padre, ha trovato il modo di dirmi: "...che poi in Francia sarebbe stato diverso. Ma proprio in Svizzera dovevi andare, tra tutti i posti..." E io potrei anche spiegargli per l'ennesima volta che non ci volevo venire qui, che certo, anche io preferivo la Francia, che non per niente ho coniato il termine stupidisvizzeri, ma sarebbe inutile, e poi mi sono stufata di ripeterlo. Come per il mio studiò era una scelta prendere o lasciare: non ti va di andare tra i vicini extracomunitari? Affari tuoi, niente Erasmus. Che poi, a pensarci, potevo fare come Marta Folletto e andarmene ad Atene. Sei mesi di gyros, ouzo e pessima birra mythos, prezzi stracciati, gente amichevole, donne con i baffi, tamarri mediterranei, chiassosità diffusa, elasticità mentale, simpatia. E invece no, io e la mia stupida idea "voglio andare in Nord Europa", solo perché l'estate prima ero andata in Belgio e durante l'inverno mi ero innamorata dell'Olanda. Così è andata a finire che la mia idea di Nord Europa non solo non è nemmeno lontanamente esotica come la Rovaniemi di Annie, e fin qui ok, ma si è persino incagliata a tre ore di treno da casa.

So presentarmi ormai benissimo in francese, mi faccio capire al supermercato, chiedo informazioni con piglio sicuro e pessimo (ma orgoglioso) accento. Ma mi mancano le parole per dire pressoché qualsiasi cosa che sia più di "mi passi il sale".

Non contavo su degli sconti a livello di corsi, ma su un minimo di comprensione sì. Invece sono l'unica Erasmus in tutti quelli che seguo, e, benché tutti si siano mostrati gentili, è evidente che da me ci si aspetta un lavoro pari a quello degli indigeni. Il che è giusto, ma mi spaventa a morte.

Tradurre senza vocabolario è un'ingiustizia. Punto.
Tradurre in greco dal francese è una tortura, se non che, forse, non è nemmeno tanto più difficile del contrario.
C'è di buono che potrei essermi innamorata dell'assistente di greco. Ce ne sono due, un ragazzo e una ragazza, entrambi giovani e dall'aria simpatica e amichevole (che in Italia ti puoi scordare). Comunque, lei è bellissima, e se mai mi taglierò i capelli cortissimi, sarà nel tentativo di imitarla.
C'è il rischio che mi piaccia linguistica. Ed ero anche decisa a cambiare piano di studi e frequentarla in autunno, ma mi sa che avrò troppe cose da fare. Peccato (anche se leggere per cinque volte di fronte a tutti lo stesso verso, dopo la premessa che "che bella lingua l'italiano, voi sì che sentite la sonorità del latino", ecco, forse non è proprio la maniera migliore di iniziare la settimana).
Mi si chiede di preparare un dossier di una decina di pagine più bibliografia, e di tenere una lezione di un'ora, "non di più perché dopo c'è il dibattito". Non si preoccupi, non c'è problema.

Tutte le mie lezioni da antichista sono in aule da una decina di persone. Histoire internationale contemporaine è in una vera aula universitaria, piena fino agli ultimi posti. Prendo appunti in francese, poi passo all'italiano, infine non capisco più niente, se non che dovrei leggere un sacco di libri. Lo stesso dicasi per il seminario correlato (ma ho la soddisfazione di sentir parlare di un certo De la coté des petites filles di Elenà Belottì: con aria snob, lo scrivo in italiano, aggiungendo il secondo cognome. Quando le cose si sanno, si sanno).

Sono timida e orgogliosa, e non voglio andare in giro a mendicare amicizie. Per ora conosco qualcuno, e mi basta (certo, ho un po' paura di fare la figura della sociopatica). Sono spesso da sola, e non mi pesa, ma a volte mi piacerebbe che non fosse così.

Questo mi porta a situazioni esilaranti.
"Salut"
"Salut"
"Tu es ici pour le cours d'appoint?"
"Oui"
"Erasmus?"
"Oui. Moi aussi"
Poi mi dici che vivi pure te a Triaudes, e io non sono lì a chiederti "VUOI ESSERE MIO AMICO DI PREEEEEEEEEEEEEEEEGO" solo perché non parli italiano, ma cerco di dirtelo lo stesso in francese. Insomma, io non faccio queste cose, ma ogni tanto ci vuole un po' di contatto umano.

Sennò finisce come mercoledì sera, che vado alla serata di apertura della stagione del ciné-club (Salle du Capitole, alias prima sala cinematografica mai aperta a Losanna, restaurata e chic), gratis e con tanto di aperitivo, e scopro che Catharina m'a posé un lapin, ovvero mi ha elegantemente tirato buca, dopo che mi aveva convinto ad andare "ma mica da sola, eh". L'unica cosa che potevo fare era gettarmi sul buffet, ma non è certo una cosa di cui poi uno va fiero, o che racconta agli amici.

Insomma, sì, mi sento un po' perdue. Ma non voglio nemmeno risultare pesante (in tutti i sensi) come quella famosa M, quindi basta così. E poi, ad essere sincera, solo il fatto di aver scritto tutto quanto me ne fa già sorridere.

Courage! Siamo solo all'inizio ;)

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