venerdì 30 settembre 2011

(NB: questo post è stato scritto all'inizio di settembre. Non sapevo neppure più se pubblicarlo o meno, ma dovrei farcela al pelo prima di mezzanotte e prima di ottobre, quindi ci provo, e tenetevelo così).

Quando avevo diciotto anni ho incontrato l'uomo della mia vita. Cioè, credevo lo fosse. Fatto sta che ero giovane e ingenua (più di ora, se non altro) (fra l'altro, chissà se qualcuno ha già pensato a mettere sotto copyright la frase "ero giovane e ingenua"), e lui era più o meno quanto la diciottenne giovane e ingenua che io ero voleva. Non che ci volesse poi molto, bastavano le piccole grandi sintonie, e il fatto che mi facesse ridere, e che mi incantasse quando parlava.

Certo, col senno di poi è facile dire che avrei dovuto sospettare che c'era qualcosa che non andava (tanto per dire, quando mi rivelò che il suo libro preferito era I dolori del giovane Werther, "soprattutto la parte con i canti di Ossian"). La verità era che allora ("ero giovane e ingenua", marchio registrato) non davo peso a queste cose, anzi, mi sembrò un pregevole segno di distinzione.

A peggiorare il mio senso di discernimento, ci si mise pure il prof di greco del liceo, che, durante quella celebre lezione su Polibio, pronunciò LA frase, una di quelle che ti cambiano la vita.
Complicandotela per sempre.

LA frase, tanto per farvi capire la gravità della situazione, mi ha incitato a scartare a priori chiunque fosse privo dell'indispensabile dono della lacrima facile di fronte al méninaèidetheà.
Diceva più o meno così: se ti trovi davanti un uomo che piange leggendo l'Iliade, non è del tutto da buttar via. Soprattutto se è uno Scipione ed è davanti a Cartagine.


E io, idiota, a esaltarmi tutta, nel mio banco vicino alla parete, perché, mentre prendevo appunti con foga, ero stata folgorata da una certezza: LUI piange leggendo l'Iliade (e, anziché mettermi a ridere, o prenderla come un deterrente, mi sembrava una cosa figa).

Fine di quella che avrebbe potuto essere una vita sentimentalmente normale.

Tutto questo "grande amore", ovviamente, non durò nemmeno dodici miseri mesi.
La parte del lasciarsi, quella sì, fu lunga e difficile e tormentata. Perché mica poteva finire in modo normale.

Da allora, odio la locuzione "non so".
Da allora, nonostante i "non so", abbiamo passato (almeno) i due anni successivi a pensare (alternativamente, e pressoché mai simultaneamente) di essere fatti l'uno per l'altra, stressando in maniera indicibile i rispettivi amici.

Da allora, ho imparato che quando dici per la prima volta "ti amo" a qualcuno, può anche non esserci nessuna risposta. Il soggetto in questione, per esempio, mi ha risposto dopo due anni e mezzo. E io stavo con un altro (e uno che fa così non ti ama. Ama solo se stesso, l'egocentrico, se stesso e la sua sofferenza) (I dolori del giovane Werther, appunto).

Credo che nonostante tutto il tempo ci avrebbe fatto tornare insieme (come ripetevamo entrambi, pervicacemente, alla spalla dell'amico/a che continuava ad ascoltare quei discorsi per la millesima volta, e voleva solo vomitare per la noia), se la pazienza fosse stata solo un po' più paziente, il tempismo un po' più tempestivo, o se, semplicemente, almeno uno dei due avesse messo da parte l'orgoglio.

Fortunatamente non è successo.
Fortunatamente perché nonostante avessimo passato mesi e mesi a dipingerci come "la persona che sposerò", è chiaro che, beh, la perfezione non è di questo mondo, e la delusione, di conseguenza, è sempre in agguato.

Siamo seri: quanto (poco) tempo sarebbe passato prima che lui capisse che non avevo nessuna intenzione di sfornargli pargoli - e sottolineo il maschile - e cucinare primo secondo contorno frutta dolce caffè, lasciandolo in pace durante le partite del milan? Quanto, prima di renderci conto che leggiavamo un giorno per diletto di Lancialotto come amor lo strinse va bene, appunto, per un giorno, ma non per tutta una vita?

E me la sarei sentita di continuare a mentirgli? Io, I dolori del giovane Werther l'avevo letto, ma saltando pressoché a piè pari i canti di Ossian (un po' come le parti storico-filosofiche in Guerra e Pace).

Comunque, siamo rimasti nelle rispettive vite per un po'. Niente amoreggiamenti, ma tante parole, e in fondo andava bene così. In realtà, come è chiaro anche al lettore sprovveduto che è arrivato fin qui solo perché cercava Dante, Inf., V, 127-8, il nostro continuare a frequentarci e a ripeter(ci) quando stavamo bene insieme era ovviamente molto masochista.

Un po' come One Day, e non fate sofismi sul paragone, che ovviamente lusinga entrambi.

(Parentesi su One Day: ho adorato il libro - d'accordo, letteratura d'intrattenimento, e allora?? (e poi, la letteratura è intrattenimento) - nonostante la sofferenza gratuita e l'autolesionismo dei personaggi. Penso che certe pagine siano semplicemente perfette - tranne l'incipit, ma poi c'è quella frase su questa storia che si diventa vecchi, e che io invece ho deciso che vorrei rimanere esattamente come sono ora, eh, beh, condensa le ultime generazioni in neanche un paragrafo, e la sbruffoneria che in realtà è paura, che non c'è bisogno che ve la spieghi, la conosciamo tutti. Sto aspettando di vedere il film, ma, parliamone: Anne Hathaway è decisamente troppo bella, e Jim Sturgess decisamente troppo "stropicciato": per fare Jude è perfetto, ma per il borghese ricco, un po' stupido e tanto fascinoso? Bah).

"Un po' One Day" nel senso che siamo rimasti nelle rispettive vite per quel po' in cui ci si interessava ancora l'uno all'altra. Insomma, fino a quando faceva ancora male, per dirla in modo da far piangere i quindicenni emo.

Poi, non so se a poco a poco o improvvisamente, è finito tutto.
Finite le paranoie, finite le telefonate e le serate a birra e parole. Soprattutto, finito il tormentarsi inutilmente. Forse perché non si è in un romanzo, dopotutto, e fortunatamente di diventare "migliori amici" non si è mai parlato (niente "Dexter, ti sposi! Ma è pazzesco!", grazie a dio).

*

E niente, tutta questa sbrodolata para sentimentale perché, dopo un anno di tacito accordo di pacificazione (non ci sentiamo, ma non ti odio, non ti amo, tu non mi odi e hai incontrato la donna della tua vita), ho scoperto circa una settimana fa che mi ha cancellato, chissà quando, da Facebook (e su come Facebook abbia cambiato tutto, sentimentalmente parlando, prima o poi qualcuno ci scriverà un saggio di sociologia). Sono rimasta spiazzata, ma nemmeno troppo.

Dopo tutta questa sofferenza (artisticamente fecondissima, va detto), sussulti un istante, "WTF??", e alzi le spalle.


I cannot live without my life, I cannot live without my soul, però poi la vita normale vince sempre, e per fortuna.

Emily, tu hai mentito.

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